venerdì, Aprile 19, 2024 Anno XXI


Edin Dzeko ha chiamato la sua prima figlia Una. Una, ovviamente, non in italian. Ma da noi suona di un umorismo involontario, indice di normalità che rifugge la presunta creatività di tanti suoi fantasiosi colleghi. Ci si aspetta che chiami il secondogenito Due, poi Tre e così via, non certo di vederlo con variopinte creste e treccine nei capelli, di tatuaggi di significato arcano, variopinte telenovelas illustrate sulla pelle. Se dovessimo scegliere un oggetto di merchandaising da vendere ispirato a Dzeko, andiamo a stento verso la maglia col numero 9.

Insomma, una “normalità” che nel Barnum del calcio moderno sembra non entuasiasmare troppo i fruitori del prodotto pallone.
Edin, in questo momento, è sicuramente uno dei migliori bomber d’Europa, sta esprimendosi su livelli che a Roma abbiamo visto raramente (Totti, il primo Batistuta, forse). Eppure…

Eppure, dobbiamo essere sinceri, non riesce a trascinare e ad entrare nel cuore e nelle passioni dei tifosi romanisti, così come invece fecero altri ( a volote presunti) campioni del passato. Se pensiamo a Roberto Pruzzo, ad Abel Balbo, a Gabriel Batistuta, persino a gente tipo Ruggero Rizzitelli o Marco Delvecchio, a quanto i tifosi romanisti conservino nel profondo dei loro cuori la passione, quasi la devozione per le loro gesta, ci rendiamo conto che Edin Dzeko, i cui numeri in questo momento fanno impallidire le figure sopra citate, quella breccia profonda nei loro cuori ancora non l’ha scavata.

E allora nasce prepotente una considerazione. Edin dalla faccia seriosa, continua così. Chissenefrega delle nostre fisse da fans. Tu continua a sfondare le reti avversarie, magari aiutaci a condividere finalmente una gioia da vittoria. E l’immensa stima che nutriamo ora diventerà amore sfrenato