Categorie Virgolettato Scritto da Lucky Luke venerdì, 5 Dicembre alle ore 09:33
da repubblica.it Ecco che succederà nel giro di due anni: i calciatori guadagneranno il 20% in meno. Nel 2010 la fase acuta: da ridiscutere i contratti tv. Sponsor e incassi a rischio Non tanto per il 2009, perché i club avranno ancora l'”ammortizzatore” dei diritti tv, che rappresentano il 50% delle entrate. Che succederà dopo? La Infront, advisor della Lega, ha garantito 900 milioni di euro all’anno dai nuovi contratti collettivi (chiaro+criptato), e per 6 anni. Totale: 5 miliardi e 400 milioni. Per la verità i presidenti speravano di portare in cassa un miliardo a stagione: ma forse dovranno “accontentarsi” del minimo garantito dall’Infront. Il problema vero, semmai, arriverà da tutto il resto: incassi ai botteghini, sponsor, merchandising. Lì potrebbe esserci un calo d’entrate, e anche consistente: in tempi di crisi, d’altronde, come si fa ad andare allo stadio, e poi a quei prezzi? E gli sponsor, tolti quelli dei grossi club, dove sono? Lazio e Palermo, per fare un esempio, già adesso ne sono prive. E le magliette “taroccate” tolgono royalties ai club, e gli stadi non di proprietà in molti casi già adesso sono riempiti solo a metà (anche se gli spettatori rispetto allo scorso anno sono in crescita). Il presidente della Confindustria del pallone, Antonio Matarrese, è preoccupato. “Per forza. Sono molto preoccupato perché le società di calcio sono degli imprenditori e gli imprenditori avranno sempre più difficoltà negli investimenti visto che le loro aziende dovranno fronteggiare la crisi. Anche lo stesso Berlusconi non potrà più esagerare col calcio: è una questione di moralità. Con la gente in crisi, come si fa? I tifosi potrebbero avere reazioni incontrollabili, bisognerà stare molto attenti”. Il numero 1 della Lega Calcio, in odore di riconferma, lancia l’allarme: “Qui si rischia davvero di mettere il sistema-calcio in crisi: non dico tanto in serie B, dove la situazione è già catastrofica, ma anche in A. Per questo non bisogna farci prendere dal panico di fronte alla recessione e studiare insieme come affrontarla”. Anche un imprenditore di successo come Diego Della Valle, che pure nel calcio ha investito molto con la sua Fiorentina, fa un’analisi realistica: “Io e mio fratello proviamo imbarazzo nel pagare tutti quei soldi ai calciatori, sapendo che c’è gente che viene allo stadio e che guadagna mille euro e fatica ad arrivare a fine mese”. “Demagogia”, taglia corto Sergio Campana, presidente del sindacato calciatori, Aic, dal lontano 1968. “Demagogia perché già adesso ci sono stati tagli consistenti sugli ingaggi dei giocatori. E molti club, ad esempio in serie B, hanno versato lo stipendio solo sino a luglio. Zero euro da agosto ad oggi. E tanti altri, sempre di B, vorrebbero rateizzare i compensi superiori ai 100.000 euro a stagione mentre noi siamo per spalmarli allungando però la durata dei contratti”. D’accordo, ma la crisi… “Sì, certo che c’è la crisi: me ne rendo conto e so che ci sarà un ridimensionamento notevole a livello di ingaggi”. Il sindacato calciatori ha fatto i conti e le previsioni dicono che entro due stagioni, gli stipendi dei giocatori potrebbero essere tagliati del 20%. E non è poco. “C’è un abisso, d’altronde, fra i 5-6 club di vertice e tutti gli altri: è chiaro che i calciatori da Pallone d’oro continueranno a guadagnare molto ma i professionisti, lo ricordo, sono 4.000 e molti, lo ricordo, già adesso vengono pagati, quando vengono pagati, con spaventosi ritardi”. Morale? “Le società di calcio dovrebbero imparare a seguire un percorso meno vizioso, e non come adesso che spendono più di quello che incassano. Ma, attenzione: io non sono pessimista. E’ una vita che sento parlare di crac. Così non sarà: il calcio ha una sua forza intrinseca, più forte di qualsiasi crisi. Si salverà anche stavolta, vedrete”. Si salverà, ma come? Iniziando davvero un percorso virtuoso? Massimo Moratti copre ogni anno il “rosso” dell’Inter: l’ultima volta mettendo di tasca sua 148 milioni. Berlusconi è meno spendaccione: il Milan ha chiuso solo a meno 30 (milioni). La Juventus, tornata in A, è andata sotto di venti milioni. Ma ci sono anche i virtuosi, come no: la Roma ad esempio che ha fatto +19, la Lazio di Lotito, l’Udinese che paga 23 milioni all’anno di stipendi contro i 180 dell’Inter, il Genoa in attivo dopo 38 anni. Resta l’anomalia di un parco professionistico spaventoso: 132 club. Ma ora anche qui si sta preparando il taglio: il blocco ai ripescaggi, fra B e Lega Pro, potrebbe portare a 12 società in meno. “Ma tanti club falliranno, non si riusciranno ad iscrivere al prossimo campionato”, sostiene Mario Macalli, presidente della Lega Pro. “Noi paghiamo troppo: abbiamo un costo del lavoro elevato e non abbiamo ricavi”. E attacca la Lega Dilettanti e chi (la Covisoc) dovrebbe fare i controlli sui bilanci dei club. “Nessun crac per la serie A, ma lo spettacolo può spegnersi” “Contrazione”. È la parola che Adriano Galliani usa più frequentemente quando parla del futuro prossimo del calcio italiano. Contrazione: termine elegante per indicare una brutale riduzione degli investimenti, l’impoverimento dello spettacolo e il calo della competitività a livello internazionale. L’aspetto drammatico è che la prospettiva non può neanche essere definita pessimistica se si considera che nei giorni scorsi in Inghilterra hanno addirittura parlato di una imminente bancarotta della Premier League. “Ma quelle – spiega Galliani – sono solo sciocchezze”. E perché? “Perché la Premier League non rischia nessun crac. È un sistema che produce spettacolo e soldi in quantità e come tale non rischia alcun fallimento”. E la Serie A? “Nemmeno la Serie A rischia il crac. Però una pesante contrazione, quella sì. E questo perché il calcio italiano non è autosufficiente. È un sistema in perdita. Con i buchi nei bilanci che vengono risanati dai proprietari. A fondo perduto”. I proprietari risentono della crisi, e così riducono gli investimenti. “Esattamente. Il valore delle azioni in borsa si sono dimezzati e i presidenti delle società sono meno ricchi del cinquanta per cento”. Ma questo non vale anche per gli altri paesi? “Per alcuni sì per altri no. Ma in Italia i presidenti hanno le spalle scoperte. Il fatturato di una grande squadra, una delle big four (Milan, Inter, Juventus e Roma, ndr) è dato per il 65% dai diritti tv, per il 25 dalle sponsorizzazioni e dal marketing, e per il 10 per cento dalla biglietteria. Ora, per quanto riguarda i diritti tv non credo ci saranno problemi. La recessione non porterà un grande calo di abbonati a Sky, a Mediaset e a La7. Non credo che il paese arrivi a un punto di povertà endemica tale che la gente non potrà permettersi di comprare la partita a cinque euro… E non credo nemmeno che il problema arriverà dalla biglietteria”. Dalle sponsorizzazioni, invece… “Sono abbastanza preoccupato. Le aziende fanno meno utili e potrebbe accadere domani quello che accade oggi con i giornali e le tv. Grossi tagli di budget. Chi lavora con i media sa di cosa sto parlando”. Anche quella del marketing è una nota dolente. “C’è uno studio della Deloitte che lo dice chiaramente: le principali differenze tra il calcio italiano e quello degli altri paesi sono gli stadi. In Italia abbiamo due grossi problemi: sono di proprietà pubblica e in coabitazione tra due squadre. Uno stadio come il Meazza che cambia di colore ogni tre giorni non ti permette di creare nulla, di investire, di progettare. Bisogna privatizzare e costruire. Poi per quanto riguarda il marketing pesano anche grosse differenze di costumi: in Inghilterra il manager va allo stadio con la maglia del Chelsea. Da noi è impensabile. Senza considerare il problema dei falsi che è insopportabile”. Però c’è anche un deficit culturale dentro il calcio. La vittoria dei mondiali è stata sfruttata malissimo dal nostro paese. Il marchio Italia praticamente non esiste. “Io non voglio parlare degli altri. Al Milan, due mesi dopo che siamo diventati campioni del mondo abbiamo fatto il logo e l’abbiamo messo al petto. E poi non siamo noi che veniamo accusati di comprare le figurine solo per fare marketing?” Della Valle ha parlato di un certo imbarazzo a livello morale nel vedere in campo calciatori che guadagnano spropositi e sugli spalti gente che non arriva a mille euro al mese. “A livello morale siamo perfettamente d’accordo. Però non posso non considerare che è il mondo dello show business che funziona così. Bruce Willis prende 30 milioni a film. Una star della canzone 8 milioni a concerto. È una logica che vale per tutto. Se vuoi mantenere le stelle devi dargli gli emolumenti che gli danno gli altri”. E questo ci riporta al tema della contrazione e della competitività con gli altri campionati. “Già, oltretutto l’Italia è svantaggiata sul piano fiscale? In Spagna gli stranieri pagano la metà delle tasse che si pagano in Italia. In Inghilterra poco più che in Spagna… Se in Italia le cose resteranno così, tutto caricato sulle spalle degli azionisti, il futuro potrebbe essere molto problematico”. |
