mercoledì, Maggio 14, 2025 Anno XXI


da repubblica.it

In quattro anni, coloro che si dicono tifosi di calcio si sono ridotti da oltre metà della popolazione a poco più di un terzo. E oggi sono una minoranza, per quanto larga. All’interno della quale è cresciuta la componente più calda. Anzi “militante”. Gli “ultratifosi” sono ormai saliti al 47 per cento della popolazione (tifosa).

stadio OlimpicoPIÙ che di un calo, si tratta di un crollo. Parliamo dei “tifosi”. In Italia, fino a pochi anni fa, erano la maggioranza. Quasi il 56 per cento, nel 2009. E il 52 per cento, l’anno seguente. Poi è iniziata la diminuzione, rapida e sensibile: il 45 per cento nel 2011 e il 43 nel 2012. Un anno fa. Oggi sono il 36 per cento. Sette punti in meno nell’ultimo anno. Quasi dieci negli ultimi due. E venti rispetto al 2009.

E’ quanto emerge dal sondaggio Demos Coop pubblicato oggi sulla Repubblica.

In quattro anni, dunque, coloro che si dicono tifosi di calcio si sono ridotti da oltre metà della popolazione a poco più di un terzo. E oggi sono una minoranza, per quanto larga. All’interno della quale è cresciuta la componente più calda. Anzi “militante”. Gli “ultratifosi” (non necessariamente ultras) sono ormai saliti al 47 per cento della popolazione (tifosa). Quasi metà. L’anno scorso erano il 43 per cento. Parallelamente, si è ridimensionato il tifo “tiepido”. Ormai poco più del 20 per cento. In altri termini, la passione per il calcio, in Italia, coinvolge una quota di persone sempre più ridotta, ma sempre più accesa. Sempre più attiva e reattiva. Vi sono diverse ragioni, dietro a questa tendenza, già visibile l’anno scorso, ma divenuta, oggi, più evidente. Tre, fra le altre, sembrano particolarmente importanti.

1. La prima riguarda la credibilità del calcio e dei campionati. Logorata dagli scandali, che si ripetono e si ripropongono, da tempo. Senza soluzione. Tanto che il calcio appare, ai più, viziato dagli interessi. Mentre gli arbitri diventano “sospettati speciali”. A nove tifosi su dieci capita, infatti, di pensare che siano in malafede. In fondo si tratta di “giudici”… 2. La seconda riguarda il contesto. Sappiamo bene che, da molto tempo, il calcio ha smesso di essere un gioco. Ma il problema è che, ormai, viene considerato fonte di insicurezza. Gli stadi sono percepiti come luoghi a rischio, più che di gioco. Dove il razzismo non smette di farsi sentire. Con i “buuu” odiosi, rivolti ai giocatori di colore, presenti in tutte le formazioni. Un fenomeno deprecato da quasi tutti i tifosi, d’accordo sulla necessità di assumere provvedimenti più duri, pur di scoraggiarlo.

2. Anche per questo è divenuto difficile recarsi allo stadio per trascorrere un pomeriggio o una sera di svago, alle famiglie e, in generale, alle persone “comuni”. Non “contagiate” dal tifo. D’altronde, solo la Juventus ha costruito uno stadio che tenga conto di esigenze di socialità e sicurezza. Mentre la legge da tempo annunciata, per agevolare la costruzione di altri stadi di proprietà e responsabilità delle società, non è ancora stata approvata.

3. La terza ragione riguarda direttamente l’appeal delle squadre italiane e del nostro campionato. Che è in declino. Sei tifosi su dieci, infatti, ritengono che altri campionati siano molto più interessanti del nostro. E la metà dubita, comunque, che le squadre italiane possano vincere la Champions.

Il declino del tifo, in fondo, riflette il declino economico del Paese. Che, fra le conseguenze collaterali (tutt’altro che irrilevanti, non solo per i tifosi), ha prodotto il declino del calcio italiano. Soprattutto delle squadre di club, che non dispongono più di risorse adeguate ad attirare i campioni. A differenza del passato, infatti, i giocatori migliori, compresi quelli che militano nel nostro campionato, oggi vengono reclutati dai club di altri Paesi europei. Anche in questo modo si spiega il successo dei club tedeschi nelle Coppe europee. La Germania. Signora dei mercati — economici, finanziari. E (quindi) calcistici.

L’altra faccia della stessa medaglia è costituita dall’ingresso degli investitori stranieri, interessati alle nostre società di calcio. Già avvenuto alla Roma, si sta realizzando anche all’Inter. Un fenomeno guardato con sospetto e con ostilità da oltre il 60 per cento dei tifosi.
La riduzione dei tifosi, il crescente peso della componente militante, ha accentuato due tendenze, molto evidenti, negli ultimi anni.
A. La prima riguarda la rilevanza del “tifo contro”. Dichiarato esplicitamente dal 56 per cento dei tifosi.

B. La seconda riguarda la partecipazione alle partite di calcio. Che, ormai, avviene, in misura dominante, attraverso i media. Tradizionali (Tv in chiaro e radio), ma anche nuovi. Attraverso le reti satellitari e, sempre più, su internet. Mentre allo stadio ci vanno in pochi. Una quota minoritaria, fra i tifosi. Poco più del 20 per cento.

Così, non sorprende che la mappa del tifo, dal punto di vista delle appartenenze e delle bandiere, riproduca in modo fedele la gerarchia e la geografia degli ultimi anni. Caratterizzata dalla netta prevalenza della Juventus, sulle due concorrenti milanesi. Mentre il Napoli e la Roma confermano una presenza significativa, ma delimitata, anche dal punto di vista dei confini. Questa graduatoria riflette, infatti, la diversa distribuzione territoriale del tifo.

La Juve si conferma come squadra “nazionale”. L’unica a primeggiare nelle principali aree territoriali. Mentre le altre squadre hanno una geografia molto più definita.

L’impressione di fondo che emerge dal sondaggio Demos-Coop è che siamo giunti alla fine di una storia. Durante la quale il calcio ha offerto rappresentanza alle passioni e alle identità locali, ma anche a quella nazionale. Per questo il richiamo di Berlusconi a Forza Italia, a differenza di quel che avvenne nel 1994, oggi non evoca la “Nazionale” di calcio. Perché il legame fra il calcio e gli italiani è cambiato rispetto ad allora. Evoca i nostri vizi, più che le nostre virtù. Visto che il mondo del calcio raffigura, in modo fin troppo esplicito, le pulsioni che attraversano la nostra società. L’intolleranza etnica, la corruzione politica (e non solo), il localismo ultrà, l’insicurezza, la sfiducia negli altri e nelle istituzioni. Le polemiche contro i “giudici”, pardon: gli arbitri. La crisi economica. Così, rispetto a vent’anni fa, il (video) messaggio indirizzato da Berlusconi agli elettori è cambiato. Almeno, dal punto di vista dell’effetto. Della percezione. Perché, in video, c’è un uomo invecchiato e incupito. Che non si rivolge agli “italiani”. Ma ai militanti e agli ultrà. In generale, ai “tifosi”. Che sono in declino. Come il Paese.

ILVO DIAMANTI


da repubblica.it

Il tifo al tempo della Rete, dalla radiolina al tablet

Il calcio è ovunque. Nonostante il calo del numero dei tifosi e di quanti si recano in curva o in tribuna. Il calcio, infatti, è sempre più sui mezzi di comunicazione: vecchi e nuovi. Anzitutto in televisione, che si conferma il luogo per eccellenza dello spettacolo calcistico. Ma anche sui new media, che allargano una offerta mediatico-calcistica sempre più ricca e personalizzata. Ritagliata sulle esigenze del tifoso, alla ricerca di un flusso continuo di informazioni sulla squadra del cuore (e sulle avversarie): dal mercato al bollettino medico sugli infortuni; dal giudizio degli esperti ai tweet dei giocatori; dagli allenamenti alle dichiarazioni pre, post (e infra) partita. I dati del sondaggio Demos-Coop fanno emergere una fruizione multimediale del calcio. Con una sorpresa: il sorpasso di pc, tablet e telefonini sul tifo da stadio. Quello urlato sugli spalti.

C’era una volta la radiolina incollata all’orecchio, o accesa per un rapido aggiornamento sui risultati. Spesso furtivamente, durante un ritrovo di famiglia, una gita in campagna, o una riunione di lavoro. Perché la passione del tifoso non si spegne mai, e necessita di essere continuamente alimentata. Oggi questo avviene, soprattutto, attraverso il linguaggio delle immagini: le azioni, i gol, le moviole. Tutto in alta definizione. Per questo, il tifoso dispone, il più delle volte, di un abbonamento ai canali sportivi televisivi: oltre la metà di chi segue il calcio lo fa attraverso il satellite o i pacchetti del digitale terrestre (55%). La fruizione attraverso la Tv in chiaro è ancora oggi prevalente, e coinvolge complessivamente il 64% dei tifosi. Ma nelle componenti più militanti del tifo è ormai affiancata dalla pay-tv (o pay-per view). Magari da seguire al bar, con gli amici o con avventori occasionali. Arrabbiandosi o gioendo. Campionato e coppe si trasformano, così, in veri e propri eventi mediatici, e declina la quota di chi assiste dal vivo alle partite: poco meno di uno su quattro (23%) si reca allo stadio “almeno qualche volta” durante la stagione (ma solo il 4% in modo assiduo).

Il “dramma” continua però a porsi nel momento in cui la partita più attesa – sempre la successiva, nel calendario del tifoso – si sovrappone a eventi “minori”: con parenti, amici e colleghi, che “costringono” a un abbandono forzoso del binomio bandiera+poltrona. Circa la metà dei tifosi (e il 40% dei militanti), di fronte a tale dilemma, non annulla l’impegno (pena: crisi familiari e di relazione). Si limita a controllare il risultato in un secondo momento, accontentandosi degli highlights o di qualche registrazione. Spesso isolandosi dal resto del mondo, evitando di essere raggiunto da notizie e aggiornamenti che potrebbero rovinare la suspense della differita. All’estremo opposto, il 14% degli appassionati intervistati dal sondaggio (ma il 21%, tra i militanti) rinvia ogni impegno, trovando qualche scusa o dandosi per malato (di calcio). Il 31%, infine, decide di uscire di casa, ma si organizza per seguire comunque la partita, o quanto meno per essere aggiornato in tempo reale sul risultato. Sotto questo profilo, le nuove tecnologie offrono possibilità inedite rispetto a solo pochi anni fa. Gli smartphone consentono, attraverso la rete, di verificare i risultati in tempo reale. E tutti i principali siti di informazione (sportivi e non) forniscono la diretta testuale dei match del giorno. Non solo: attraverso internet è possibile ora disporre (a pagamento) dello spettacolo calcistico sullo schermo di smartphone, tablet e pc. In qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. “Campo” permettendo.

Ai servizi a pagamento forniti online dagli stessi network televisivi, vanno peraltro aggiunte le visioni “gratuite”, attraverso i canali dello streaming pirata. Complessivamente, un quarto del pubblico calcistico italiano segue le partite via web: ma al di sotto dei 35 anni il calcio “in rete” sale al 40%. Configurando una modalità “ibrida” di fruizione, che connette vecchi e nuovi media. La sciarpa, la bandiera e i cori. Gli amici e qualche birra. Tutti davanti al rettangolo di gioco: il rettangolo dello schermo digitale.