Categorie FaceBookScritto da Paolo Nasutomercoledì, 3 Luglio alle ore 09:20
In un articolo del 25 aprile scorso ci siamo occupati delle tifoserie che portano avanti, nelle strade, nelle piazze e nelle curve di tutto il mondo, valori quali l’antifascismo e l’antirazzismo. Va da sé che quelle stesse tifoserie non privilegino le distinzioni di genere, e che si oppongano all’omofobia.
Tuttavia in alcune subculture giovanili, per esempio in quella degli Ultràs e in quella degli Hooligans, la componente trasgressiva e aggressiva diviene un elemento importante per manifestare la propria identità maschile. Ciò lo si vede quando due tifoserie avversarie si scherniscono tra loro con espliciti riferimenti ai propri e altrui attributi sessuali(ne è un esempio uno striscione dei tifosi della Fiorentina rivolto a quelli del Como durante una partita del campionato di serie A, stagione 88/89: “VOI COMASCHI, NOI CON LE FEMMINE”) o quando una di queste due tifoserie insulta le donne del gruppo Ultrà avversario. Attraverso l’aggressione, o anche solo tramite la sua minaccia verbale, viene attivato un processo di virilizzazione che implica non solo l’attaccamento ai colori della propria squadra e al proprio gruppo Ultrà, la maschilità, la potenza sessuale, il coraggio, la lealtà, il sacrificio di gruppo, ma anche stereotipi negativi verso la femminilità che si traducono in atteggiamenti antifemminili. Virilizzazione, quindi, di se stessi e del proprio gruppo di appartenenza, cui fa da controparte la demascolizzazione simbolica dei tifosi rivali tramite cori che inneggiano alla loro dubbia virilità, aderendo in questo modo ad un modello di “mascolinità violenta” come loro caratteristica dominante.
Uscendo dagli spalti ed entrando nei campi da gioco, bisogna tenere in considerazione alcune caratteristiche della personalità tipiche di chi pratica sport, a livello agonistico e non, studiate dalla psicologia dello sport. Stiamo parlando di androfilia e androginia.
L’androfilia, può essere definita come la tendenza comportamentale ad immedesimarsi cognitivamente ed emotivamente nei codici espressivi della maschilità, o mascolinità, cioè a quell’insieme di caratteristiche, fisiche e psicologiche, tipiche del sesso maschile.
L’androginia invece come la presenza, in uno stesso individuo, sia esso maschio o femmina, di caratteri maschili e femminili che, quindi, possono coesistere senza che risultino tra loro incompatibili, ovvero negativamente correlati. Infatti molti psicologi si sono resi conto che, in ambito sportivo, ma non solo, sia gli uomini che le donne possono essere ambiziosi, fiduciosi, affettuosi, gentili, decisi, sensibili e aggressivi. Col tempo l’androginia è divenua tema di ricerca scientifica soprattutto grazie a Sandra Bem (1974, 1981) che ha creato un test di valutazione dell’androginia, il Bem Sex Role Inventory.
Il tema dell’omosessualità nel mondo del calcio e dello sport in generale non è stato mai in voga come in questo ultimo periodo, probabilmente per via del coming out di un numero sempre maggiore di personaggi del mondo dello spettacolo, e sembra quasi che si sia creata una spasmodica attesa verso l’annuncio del primo calciatore gay. Tuttavia, analizzando il mondo dello sport, e del calcio in particolare, bisognerebbe interrogarsi su cosa i tifosi pretendano da un campione, al quale indirettamente si contribuisce a pagare lo stipendio. Il tifoso si aspetta soltanto che il campione di turno si comporti da professionista, oppure che si mostri con trasparenza anche nella propria vita privata? Probabilmente i doveri di un calciatore devono essere limitati all’attività sportiva, e possono riguardare l’aspetto privato solo in relazione ad eventuali comportamenti che ne pregiudichino il miglior rendimento. E tra questi sicuramente non rientrano i gusti sessuali.
Di seguito condividiamo alcuni articoli che, seppur datati, ancora molto attuali e significativi, come contributo della rubrica Tifo e dintorni al Sardegna Pride 2013 che si svolge oggi.
Calcio e omosessualità: convenienza, discriminazione e omertà
Che fa un riccio quando percepisce il pericolo? Si chiude su sé stesso, mostrando gli aculei. Ciò che, di fatto, accade al sistema calcio quando si abbozza un inizio di discussione sull’argomento omosessualità. Come il riccio, in caso di pericolo, di emergenza, il pallone si chiude in sé stesso, negando e respingendo ad ogni costo la rivelazione che, subito, diventa accusa, attacco, pericolo. Già perché, nel 21° secolo, essere gay in taluni ambienti è considerato un vero e proprio tabù. Roba da nascondere a tutti i costi, informazione da negare anche di fronte all’evidente legge della logica (e dei numeri) per la quale, gioco forza, anche nel microcosmo del pallone debbono esserci esponenti, rappresentanti, simpatizzanti della categoria omosessuale. E non importa se taluni giocatori sono comunque icone per la comunità gay.
E’ così che la più scontata e ovvia delle realtà viene volutamente taciuta, non reclamizzata, poco analizzata e anzi, negata, censurata e, addirittura, abiurata. Il motivo è semplice: in fondo i calciatori sono veicoli di immagine funzionali, potenti e, soprattutto, molto ben remunerati. Percepiscono stipendi da favola, hanno fisici scultorei, fanno pubblicità, sono testimonial, insomma oltre che con i piedi, lavorano, e parecchio, con la propria immagine. Ne consegue che un eventuale coming out nuocerebbe un po’ a tutti. Alle società che spesso sanno e talvolta si adoperano per scongiurare scandali sconvenienti. Al sistema che perderebbe quell’aura di atavico e ostentato machismo intrinseco. E, ovviamente, ai diretti interessati i quali verrebbero vessati con ogni sorta di improperi oltre a quelli che già subiscono a prescindere dai tifosi e, a quel punto, magari anche dagli addetti ai lavori e dai colleghi.
Per questi, e per tutta una serie di ulteriori motivi, l’ago della bilancia pende a favore dell’omertà, del silenzio e dell’oscurantismo. E poco importa se qualcuno vorrebbe che i presunti gay facessero outing, esternassero la loro identità sessuale, insomma dichiarassero espressamente i rispettivi usi e costumi personali perché evidentemente la qual cosa non conviene a nessuno. Questo perché, ieri sera, Paolo Colombo, noto giornalista di La7, ospite al Chiambretti Night, dopo aver dichiarato la propria omosessualità, ha ribadito che i gay, nel calcio, esistono, eccome: “Nella Juve ce n’è uno che milita tra il centrocampo e l’attacco. Un altro (omosessuale) ha lasciato il Milan e ora gioca altrove. Io stesso ho avuto una relazione con un calciatore straniero, alla fine degli anni ’90, che poi si è sposato – aggiungendo infine che – non parlare dell’omosessualità nel calcio è un’autodifesa di quel mondo. Nel calcio però di gay ce ne sono, me ne accorgo quando li intervisto. Anche nelle squadre al top della classifica. Ci sono giocatori controllati, giocatori per cui le società hanno ritirato le foto perchè questi erano in compagnia di uomini, anche nudi, sulle barche. C’è una sorta di pudore da parte delle società per proteggere il giocatore, anche se poi l’anno dopo, lo stesso giocatore, viene immediatamente ceduto”. A scanso di equivoci, e in barba al pregiudizio omofobo, si sappia che stando alla stima di Franco Grillini, il presidente dell’Arcigay Italia, solo in serie A, gli omosessuali sarebbero almeno una ventina, compreso un arbitro.
[Fonte: Teste di Calcio, 30 settembre 2010]
Inghilterra, il Liverpool prima squadra a partecipare ufficialmente al Gay Pride
La notizia è stata confermata da Ian Ayre, manager dei Reds di Anfield Road: “Continuiamo a dimostrare il nostro impegno per liberare il calcio dall’omofobia e assicurare che l’uguaglianza e i principi di inclusione sono insiti nel patrimonio del club”
La notizia viene dall’Inghilterra, e per il mondo del calcio sembra qualcosa di dirompente: il Liverpool, una delle squadre inglesi più titolate, parteciperà ufficialmente, il prossimo 4 agosto, al Gay Pride con lo stemma ufficiale del club che sfilerà per le vie della città del nord est dell’Inghilterra. La notizia è stata confermata da Ian Ayre, manager dei Reds di Anfield Road: “Continuiamo a dimostrare il nostro impegno per liberare il calcio dall’omofobia e assicurare che l’uguaglianza e i principi di inclusione sono insiti nel patrimonio del club”. E in effetti la partecipazione ufficiale al Gay Pride non è la prima iniziativa del Liverpool su questo tema: la squadra inglese ha già collaborato con il Liverpool Pride organizzando il Football v Homophobia Tournament e supportando la Justin Campaign, che punta a combattere l’omofobia nello sport.
Cambiamento epocale nel rapporto sempre molto complicato tra omosessualità e calcio? Forse, ma intanto il Liverpool apre uno squarcio nel velo di ipocrisia che vorrebbe il calcio come zona franca e libera da influenze gay. C’è già chi parla di mossa pubblicitaria, ma per una grande squadra di calcio, schierarsi ufficialmente al fianco del movimento LGBT non è certo garanzia di ritorno positivo di immagine. Le curve di molti stadi in tutto il mondo, persino nella civilissima Inghilterra, continuano ad affrontare l’omosessualità come qualcosa di fortemente negativo, da usare semmai come sfottò per giocatori e tifosi avversari.
Le quarantamila persone che prenderanno parte alla parata, dunque, si troveranno di fronte lo stemma glorioso di una squadra che ha vinto 18 scudetti, 7 coppe d’Inghilterra, 5 Champions League e 3 Coppe Uefa. In un solo colpo verranno spazzati via due cliché: che tutte le squadre di calcio sono omofobe e che i gay non capiscono nulla di calcio. Ancora una volta l’Inghilterra apre la strada a cambiamenti epocali nel mondo del calcio. L’Italia, come sempre, non sembra pronta ad accoglierli. Per conferme citofonare Cassano.
[Fonte: Il Fatto Quotidiano, 12 luglio 2012]
Turchia. Tifosi Fenerbahce in campo per arbitro gay cacciato
La Turchia del calcio dice no alla discriminazione degli omosessuali. Un gruppo di tifosi del Fenerbahce, è sceso in campo, calcisticamente parlando, con attivisti della Lgbt, associazione per i diritti degli omosessuali, per esprimere solidarietà a Halil Ibrahim Dincdag, arbitro cacciato nel 2010 dalla Tff, la Federcalcio turca, per aver ammesso di essere gay.
Lo riportano i principali quotidiani turchi, precisando che il gesto è arrivato dai supportes che fanno capo al Fenerbahce, un’ala progressista della tifoseria del team di Istanbul, solitamente nota per il suo orientamento conservatore.
Dincdag aveva fatto outing sulla sua omosessualità durante la stagione 2008-2009, l’esclusione dalla lista degli arbitri da parte della Federcalcio era arrivata a partire dal compionato successivo. Fin dal primo momento, lo sportivo ha pensato che fosse a causa delle sue inclinazioni sessuali e ha fatto ricorso. Il processo si trascina da due anni, la prossima udienza è fissata per il 19 di febbraio. L’arbitro ha chiesto un risarcimento di 110mila lire turche, circa 45mila euro.
“La mia storia in Turchia è senza precedenti – ha spiegato Dincdag al quotidiano Radikal – ci sono altri gay nel mondo del calcio, di loro si è mai sentito qualcosa? Non farò nomi ma mi verrebbero in mente già 20-30 persone. Giocatori, direttori sportivi, arbitri. Alcuni sono molto noti”.
Intanto la Federcalcio turca e dichiara che Dincdag non è stato cacciato per la sua omosessualità, ma per “prestazioni fisiche insufficienti”. I legali della TFF hanno anche portato all’evidenza dei giudici il fatto che nel 2008 il giovane era stato dichiarato non idoneo al servizio militare.
[Fonte: TM News, 17 ottobre 2012]