lunedì, Maggio 12, 2025 Anno XXI


Venerdì abbiamo preso uno schiaffo.Lo abbiamo preso noi, lo hanno preso le centinaia di ragazzi delle curve presenti a Verona. Lo ha preso, soprattutto, Paolo.
Paolo che tutto quello che ha subito se lo è fatto da solo.
Se lo è fatto da solo. Se lo è fatto da solo!
In un paese normale sarebbe la stessa polizia a pretendere giustizia per quanto accaduto. Vorrebbero loro stessi la testa di chi vigliaccamente ha disonorato la divisa che indossava.
Noi, che annoveriamo tra i nostri valori l’omertà, e non abbiamo problemi ad ammetterlo, avremmo già trovato e punito chi tra noi si fosse reso protagonista di una simile infamità.
Loro no. Loro sono la polizia…
E così alla fine è andata proprio come era già ampiamente prevedibile che andasse, ovvero tutti assolti. I giudici del tribunale di Verona si sono infatti pronunciati a favore dell’assoluzione per insufficienza di prove degli otto agenti di Polizia accusati di aver pestato selvaggiamente alla stazione di Porta Nuova il tifoso bresciano Paolo Scaroni, mentre nel pomeriggio del 24 settembre 2005 egli stava per salire sul treno che lo avrebbe riportato a casa dopo aver seguito la sua squadra in terra scaligera. Sebbene si tratti solo del primo grado di giudizio e Paolo, con il supporto della sua famiglia e di tutti noi, abbia già dichiarato uscendo dal tribunale di voler continuare la sua battaglia legale per dare un nome agli spregevoli autori di un pestaggio così ignobile, è bene comunque non farsi troppe illusioni sulla capacità, o meglio sulla volontà della giustizia italiana di riparare al torto immane subito da Paolo.

Il coma prima, l’invalidità totale poi. Gioventù e voglia di vivere incenerite irrimediabilmente da un gruppo di veri fuoriclasse nel gioco preferito dai vili, quello di colpire e scappare, ben consapevoli che se a proteggerli non bastassero caschi, scudi e manganelli, a oscurarne le responsabilità sarebbe sempre pronta l’impenetrabile cortina fumogena del potere istituzionale e poliziesco, che fa dei suoi guardiani un esercito senza nome, senza volto e, conseguentemente, senza rispettabilità. Con ogni probabilità in quei paesi dove il termine “democrazia” non si riduce a essere una mera etichetta svuotata di contenuto e di presa sulla realtà, ovvero tutti quei paesi in cui lo stato legittima la sua autorevolezza agli occhi dei cittadini esercitando le sue funzioni peculiari con serietà e giustizia, un caso come quello di Paolo Scaroni non sarebbe neanche arrivato in tribunale, e di sicuro non vi sarebbe arrivato dopo più di sette anni dai fatti. In un paese civile degno di tal nome, infatti, un organo di sicurezza di importanza centrale nella vita dello stato come la Polizia, di fronte a comportamenti così gravi tenuti da alcuni suoi membri nei confronti di una persona inerme, avrebbe immediatamente effettuato un’approfondita e trasparente indagine interna per accertare colpe e responsabilità, punendo in maniera esemplare coloro che oltre ad aver causato danni incalcolabili a un innocente, con i loro atti avrebbero anche compromesso la credibilità dello stato agli occhi dei suoi cittadini e la loro fiducia in esso. Peccato che lo stato italiano abbia smesso ormai da tempo di preoccuparsi del suo rapporto con i cittadini e del rispetto a essi dovuto in quanto tali, rispetto che di quel rapporto dovrebbe essere il fondamento. Spesso sono le nostre stesse vicende di vita ad averci insegnato tutto ciò, altre volte lo abbiamo compreso attraverso l’informazione quotidiana. Se poi qualcuno avesse la memoria labile o la testa particolarmente dura, diciamo a prova di manganello, ecco che improvvisamente ce lo rivelano vicende squallide e vergognose come quella toccata in sorte a Paolo Scaroni e a molti altri ai quali gli abusi di potere e la violenza sadica delle forze dell’ordine hanno addirittura causato la perdita della vita. Anzi, chissà mai che qualche zelante tutore dell’ordine, dall’altissimo spirito di corpo, non abbia pensato “beh, in fin dei conti di cosa si lamenta questo Scaroni? Lui è ancora vivo, no? Mica ha fatto la fine di Stefano Cucchi o di Aldo Bianzino”…..

Paolo Scaroni vittima di uno stato distratto, così il tifoso bresciano ha firmato la lettera-appello da lui indirizzata all’opinione pubblica prima del processo. La sua firma dice già molto rispetto all’umiltà, al buon senso e alla maturità di questo ragazzo. Quanti di noi, dopo essere sopravvissuti ad un dolore, fisico e morale, come quello subito da Paolo, avrebbero avuto l’equilibrio di definire il comportamento dei rappresentanti e “difensori” delle istituzioni in questa vicenda con un aggettivo misurato come “distratto”, puntando semmai sulla sottile ironia piuttosto che sulla veemenza per denunciare il gravissimo torto subito? Ritardi, reticenze incrociate, dieci minuti di video spariti dal filmato della telecamera che avrebbe dovuto riprendere il pestaggio; sono alcuni degli elementi che hanno costellato la storia di Paolo. Del resto, c’è qualcosa da stupirsi? Tutto ciò non si inserisce alla perfezione in un sistema che chi vive in questo paese ha già visto all’opera in più di un’occasione? Coperture influenti, omertà istituzionali, solidarietà “armata”. E ancora, poteri onnipresenti ma inafferrabili, scambi di denaro e favori sulla pelle dei comuni mortali, viscide e inconfessabili strette di mano, abbracci mortiferi e baci di Giuda. Non ci dice nulla questo fosco panorama?

Eppure, muniti di una buona dose d’ironia e tanta, tanta fiducia nello stato e nella buona fede delle autorità, potremmo anche classificare tutto questo ricorrendo al vago termine di “distrazione”. Rimane il fatto inoppugnabile che nel caso dello Stato italiano, considerata la gravità e la preoccupante regolarità con la quale questi fenomeni si manifestano nel tempo, si possa quasi parlare di una vera e propria “patologia della distrazione” di carattere genetico, come se le istituzioni di questo paese fossero vittime di una loro innata e malsana tendenza alla sbadataggine, che li condurrebbe fatalmente a volgere sempre lo sguardo nella direzione sbagliata… Una “distrazione infinita” quella delle autorità italiane, difetto particolarmente rilevante per chi, come le forze di polizia, dovrebbe fare della vigilanza sulla sicurezza dei cittadini il proprio lavoro. A questo punto ci pare necessario, se per caso non lo sapessero o se lo fossero scordati, ricordare a questi personaggi che, sebbene la legge conferisca loro il monopolio della forza, almeno finora la testa e i sentimenti di chi vive in questo paese non sono ancora entrati a far parte del loro esclusivo dominio privato. Ne consegue che qualcosa di infinito da contrapporre alla loro ormai proverbiale “distrazione” ce l’abbiamo anche noi: la nostra voglia di giustizia e il nostro disprezzo verso di loro.

GIUSTIZIA PER PAOLO!
[Fonte: Ultras Tito Cucchiaroni]

Per Corederoma
Paolo Nasuto