Raciti: una sentenza preordinata che continua a suscitare sdegno
Categorie FaceBookScritto da Paolo Nasutovenerdì, 14 Dicembre alle ore 02:43
La morte dell’ispettore di polizia Filippo Raciti, avvenuta in circostanze tutt’altro che chiare, torna prepotentemente di attualità dopo l’ormai “famosa” maglietta del calciatore del Cosenza Arcidiacono e gli striscioni degli ultrà di Lazio, Milan, Napoli, Genoa, Atalanta e infine Lecce a sostegno dei due condannati, per ora in via provvisoria, per l’omicidio dell’ispettore. Come abbiamo già fatto in altre occasioni, ribadiamo di non credere alla versione ufficiale, convinti che i due tifosi catanesi accusati della morte di Raciti (che ha segnato la morte del mondo ultrà) altro non siano che due comodi capri espiatori funzionali ad indirizzare altrove le responsabilità di quanto accaduto
In Italia, l’agente di Polizia Filippo Raciti ha trovato la morte il 2 febbraio del 2007 durante gli scontri avvenuti fuori lo stadio di Catania dove si stava svolgendo il derby contro il Palermo. Le indagini sulla morte del poliziotto portarono subito all’arresto di un indiziato minorenne, Antonio Speziale, avvalendosi dei filmati dei circuiti di sicurezza dello stadio e di successive intercettazioni ambientali. Le immagini dei violenti scontri fecero il giro del mondo e la condanna di quanto successo fu unanime.
Speziale, al tempo dell’arresto minorenne, venne condannato il 9 febbraio del 2010 per omicidio preterintenzionale a quattordici anni di reclusione. Poi il 21 dicembre del 2011, la Corte d’Appello, sempre per omicidio preterintenzionale, ha ridotto la pena a otto anni. Ma c’è qualcosa che non torna. Giuseppe Lipari, avvocato difensore di Speziale, subito dopo la sentenza, aveva dichiarato che «la morte di Raciti fu causata da un collega» e aveva aggiunto che «l’evento giudiziario è stato scandaloso». Perché? Secondo la ricostruzione la morte di Raciti sarebbe dovuta da un pezzo di lamiera che Antonio Speziale avrebbe prima raccolto e poi scagliato a mo’ di ariete, contro di lui. Ma le telecamere fisse dello stadio «Massimino» di Catania non riprendono le immagini del contatto. Giuseppe Lo Bianco e Piero Messina, articolisti dell’Espresso, l’8 marzo del 2007 scrivono: «Due telecamere fisse riprendono l’unica carica cui partecipa l’ispettore Raciti, riconosciuto con certezza dal casco opaco, ricordo del G8 di Genova, dai gradi sulle spalline e dall’assenza dei parastinchi. La prova più forte dell’accusa è un “combinato disposto di due filmati realizzati da due posizioni diverse”. Le riprese non sono complete perché entrambi gli obiettivi non colgono l’eventuale contatto. La prima telecamera puntata verso l’interno della Nord riprende i tifosi che raccolgono un pezzo di lamiera, probabilmente un coprilavabo in alluminio con delle spalliere, che pesa circa cinque chili. Si intravedono altre cinque o sei persone, non riconosciute, che insieme ad Antonio raccolgono quella sbarra e la lanciano “a parabola”. L’altra telecamera è puntata verso l’esterno e ritrae i poliziotti che si dirigono verso l’ingresso della curva Nord. Viene ripreso anche il momento in cui la lamiera cade per terra sollevando polvere».
E poi c’è di più, la testimonianza messa a rapporto di un agente di polizia che guidava durante gli scontri una jeep discovery: «Innescata la retromarcia ho spostato il discovery di qualche metro. In quel momento ho sentito una botta sull’autovettura ed ho visto Raciti che si trovava alla mia sinistra portarsi le mani alla testa. Ho fermato il mezzo e ho visto un paio di colleghi soccorrere Raciti ed evitare che cadesse per terra». Sempre l’Espresso e sempre a firma di Giuseppe Lo Bianco e Piero Messina, il 31 maggio del 2007, pubblica l’inchiesta «Raciti la pista è blu» dove vengono riportati i risultati degli investigatori del Ris di Parma che erano stati chiamati in causa per stabilire se l’ispettore di polizia fosse stato ucciso da quel pezzo di lamiera lanciato da Speziale. Nell’articolo si legge che «i carabinieri scientifici più famosi d’Italia hanno sostanzialmente escluso questa ipotesi: non c’è nessun elemento che la confermi. Hanno persino colpito per 14 volte un manichino con un oggetto identico, ottenendo lo stesso risultato: se fosse stato un uomo, sarebbe rimasto vivo. Le analisi degli specialisti guidati dal colonnello Luciano Garofano, incrinano le certezze granitiche della Procura dei minori di Catania. E fanno strada a nuovi indizi, tali da rilanciare l’ipotesi di un impatto mortale con la jeep discovery della polizia. Una tesi che il consulente della difesa, Carlo Torre, il perito di Cogne, mette nero su bianco: “Il complesso lesivo si adatta benissimo ad un trauma di tipo automobilistico”».
Il 22 marzo del 2013 si svolgerà l’ultimo atto del processo, presso la quinta Sezione penale della Cassazione dove il legale di Speziale, chiederà, molto probabilmente, l’annullamento della sentenza o l’assoluzione. Come andrà a finire il processo, ad ora, non lo sappiamo. Però sappiamo per certo che cercare un capro espiatorio non è giusto né per la memoria di Raciti né per il giovane Speziale. Ma forse, anche per questo caso, dovremo aspettare molti anni affinché venga a galla la verità. E magari, il primo ministro di turno, chiederà anche scusa.
(Riproduzione parziale di un testo di Fabio Polese scritto per Agenzia Stampa Italia)