sabato, Maggio 10, 2025 Anno XXI


da repubblica.it

La conclusione della perizia, affidata a un istituto milanese dalla dalla terza Corte d’assise di Roma. Quanto ai traumi, dicono i periti, “si accordano sia con l’aggressione sia con la caduta accidentale”. Per un trattamento adeguato “doveva essere trasferito in terapia intensiva”

Stefano CucchiStefano Cucchi morì per grave carenza di cibo e liquidi. Questa la conclusione dei periti incaricati dalla III Corte d’assise di Roma di accertare le cause della morte del geometra, morto una settimana dopo il suo arresto nel reparto detenuti dell’ospedale Pertini. E “a decretarne il decesso furono – secondo la perizia – i medici del reparto di medicina protetta dell’ospedale Pertini, non trattando il paziente in maniera adeguata”.

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“La causa della morte di Stefano Cucchi – dice testualmente la perizia – per univoco convergere dei dati anamnestico clinici e delle risultanze anatomopatologiche va identificata in una sindrome da inanizione”. “Con il termine di morte per inanizione – scrivono i periti – si indica una sindrome sostenuta da mancanza (o grande carenza) di alimenti e liquidi”.

“Il quadro traumatico osservato – prosegue la perizia – si accorda sia con un’aggressione, sia con una caduta accidentale, nè vi sono elementi che facciano propendere per l’una piuttosto che per l’altra dinamica lesiva”.

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“In questo contesto – si legge fra l’altro nella relazione di 190 pagine – pare anche inutile perdersi in discussioni sulla causa ultima del decesso. Se, vale a dire, esso sia da ricondursi terminalmente ad un disturbo del ritmo cardiaco piuttosto che della funzionalità cerebrale, trattandosi di ipotesi entrambe valide ed ugualmente sostenibili. Questo anche in considerazione del fatto che il decesso (vuoi per causa ultima cardiaca, vuoi per causa ultima cerebrale) intervenne nelle prime ore della mattinata del 22 ottobre quando, quanto meno a partire da due-tre giorni prima, già si era instaurato il catabolismo proteico, indice come abbiamo visto sopra di una prognosi a breve sicuramente infausta”.

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I sei periti sostengono che ”in mani esperte l’allarme rosso era in atto con gli esami del 19 ottobre 2009 e che da questo momento Cucchi, per avere un trattamento appropriato, doveva essere trasferito in una struttura di terapia intensiva”. Il trasferimento e un trattamento immediato, infatti, ”avrebbero probabilmente ancora consentito di recuperare il paziente. E’ intuibile che se il trasferimento del paziente fosse stato rimandato le di lui possibilità di sopravvivenza si sarebbero proporzionalmente e progressivamente ridotte, fino a raggiungere livelli molto bassi in data 20 ottobre e ad annullarsi in data 21 ottobre”. Quindi, ”I medici del reparto di medicina protetta dell’ospedale Pertini, non trattando il paziente in maniera adeguata, ne hanno determinato il decesso”.

”Nel caso di Stefano Cucchi i medici del reparto di medicina protetta dell’ospedale Sandro Pertini – aggiungono i periti – non si sono mai resi conto di essere (e fin dall’inizio) di fronte ad un caso di malnutrizione importante, quindi non si sono curati di monitorare il paziente sotto questo profilo, né hanno chiesto l’intervento di nutrizionisti (o altri specialisti in materia) e, non trattando il paziente in maniera adeguata, ne hanno determinato il decesso”.

Inoltre, ”non avendo consapevolezza della patologia di cui Cucchi è affetto, venne pure a mancare da parte dei sanitari del reparto di medicina protetta dell’ospedale Sandro Pertini una adeguata e corretta informazione al paziente sul suo stato di salute e sulla prognosi a breve inevitabilmente infausta, nel caso egli avesse persistito nel rifiutare cibi e liquidi”. ‘Il medico – si legge nel documento – di fronte ad un paziente che rifiuti di nutrirsi e bere è grandemente coinvolto sotto il profilo deontologico ed etico; e lo è particolarmente quando il rifiuto è una forma di protesta del detenuto, che ritenga di non aver altro modo per far valere le proprie richieste”. ”Nello sciopero della fame – concludono i periti – la libertà di scelta, per essere libera, deve essere informata, vale a dire formarsi solo sulla scorta di una corretta ed esaustiva informazione da parte del medico”.

Quanto agli infermieri coinvolti (tre sono imputati) i periti milanesi sostengono che a loro carico ”non si individuano profili di responsabilità professionale che abbiano influito in qualche modo sulla evoluzione della patologia di Cucchi Stefano e che quindi ne abbiano in alcun modo condizionato il decesso”. I periti ribadiscono ”che gli infermieri segnalano gli eventi; certo vi sono criticità nel controllo della diuresi e di alcuni controlli di parametri clinici di base, non sempre condotti, né eseguiti con regolarità; ma disporre tipo e frequenza dei controlli e’ compito del medico, non dell’infermiere”.

Gli accertamenti, redatti dal gruppo di lavoro dell’Istituto Labanof di Milano, sono stati depositati oggi, una settimana prima della prossima udienza del processo che vede imputati sei medici, tre infermieri e tre agenti della polizia penitenziaria.