Categorie FaceBookScritto da Paolo Nasutosabato, 1 Dicembre alle ore 02:50
Calcio e potere politico. Un binomio che nelle repubbliche balcaniche dell’ex Yugoslavia è stato più forte che altrove nel mondo. Il Guardian ci porta a Skopje, in Macedonia, raccontandoci la storia di due ragazzi, Nikola e Blerim, ultras dalla diversa fede etnica.
LOTTA INCROCIATA – Nikola e Blerim fanno parte di due gruppi diversi, antagonisti, che si recano allo stadio con coltelli e mazze giusto per fare a botte più che per sostenere la propria squadra. Blerim, diciassettenne membro di un gruppo formato da membri di etnia albanese, gli Sverceri, è chiaro: “si tratta di una guerra. Allo stadio combattiamo con le parole, per le strade con i pugni. Difendiamo la nostra identità nazionale con il sangue”.
MILIZIE – Nikola, 17 anni, membro dei Komiti, gruppo ultras di maggioranza macedone, concorda con il suo avversario anche perché la sua etnia sarebbe colpevole di discriminazioni a danno degli albanesi. colpevoli di aver impedito la ristrutturazione di una chiesa nella fortezza medioevale della città. La prova che la politica è legata a doppio filo con le vicende ultras della città. Torniamo indietro nel tempo, e più precisamente negli anni ’90. All’epoca iniziò il percorso disgregativo della Yugoslavia e sugli spalti degli stadi furono molti i gruppi che si organizzarono in milizie paramilitari.
ODIO – Parliamo ad esempio dei Tigers, una milizia formata da supporter della Stella Rossa guidati da Zeljko Raznatovic, conosciuto come Arkan. I capi d’allora o sono in prigione o sottoterra. Ma le nuove leve sembrano pronte a tutto per seguire le orme dei loro predecessori sfondando anche loro nell’ambito sociale e politico. Gli ultras serbi sono stati protagonisti in passato di manifestazioni contro gli omosessuali e contro i ragazzi di colore, come successo ad esempio nel match di Under 21 con la nazionale inglese.
PACE FRAGILE – Il governo macedone è formato da membri di partiti nazionalisti differenziati per origine etnica, così come avviene con gli ultras. Le discussioni politiche spesso sfociano in scontri degni di una curva con conseguenze gravissime dal punto di vista sociale. La Macedonia è divisa tra albanesi, rappresentanti un quarto della popolazione, e macedoni. Il Paese fu ad un passo dalla guerra oltre dieci anni fa e la pace siglata nel 2001 ha dato agli albanesi un’autonomia prima sconosciuta, con tanto di responsabilità di governo.
RETORICA DELLO SCONTRO – Ma se ai piani alti le cose sembrano risolte, non si può dire la stessa cosa nella base, nella vita di tutti i giorni, nella realtà. Secondo molti macedoni gli albanesi hanno preso più di quanto non spettasse loro mentre gli avversari sostengono che vi sia stata una specie di discriminazione nei loro confronti. La retorica dello scontro ha portato così ai conflitti sugli spalti, primo banco di prova per verificare la tenuta della pace passata. Secondo il nucleo investigativo dei Balcani, poi, i politici sono legati a doppio filo con i responsabili delle curve anche se mancano sia ammissioni sia prove.
PORTE APERTE – In Macedonia, a differenza di quanto accade nel resto d’Europa, gli Hooligans non vengono osteggiati bensì riescono grazie alle loro azioni a ritagliarsi uno spazio nella società. Un leader 22enne della curva del FK Shkendija di Tetovo è chiaro: “le porte del governo locale per noi sono sempre aperte, così come quelle dei partiti”. Lo stesso ragazzo, nonostante abbia alle spalle un passato fatto di denunce, violenze ed aggressioni di vario genere, ha confermato che in totale avrà passato in galera meno di dieci giorni.
BACINO DI VOTI – Lazar Nanev, giudice esperto della questione hooligans, sostiene quanto sia difficile provare il rapporto tra politica ed ultras ma a volte capita che vi siano degli endorsment diretti giusto nella speranza di ottenere qualche privilegio. Ivan Anastasovski, accademico e già membro della federazione calcistica macedone ha confermato che ai partiti serve mantenere buoni rapporti con i tifosi in quanto rappresentano un bacino fondamentale di voti e sostegno in occasione delle elezioni. Per il favore poi vengono premiati con posti nella pubblica amministrazione o ruoli di prestigio.
PELLEGRINAGGI – Torniamo al campo. Il gruppo dei Komiti al seguito della loro squadra, il Vardar Skopje, spesso mostra striscioni in memoria di Johan Tarculovski, già membro del gruppo ed ora in carcere all’Aia per crimini di guerra in quanto nel 2001 avrebbe ucciso sette cittadini albanesi. Di contro i Ballisti ricordano con “pellegrinaggi” i propri eroi, come nel caso del viaggio in Kosovo per commemorare Adem Jashari, membro della guerriglia ucciso nel 1998 e ritenuto terrorista da molti serbi.
L’OFFESA – I Komiti sono anti-islamici, i Ballisti fanno propaganda nella comunità albanese. Il momento topico si ebbe lo scorso anno con degli scontri avvenuti alla fortezza della città dopo che il partito principale della coalizione macedone, il VMRO-DPMNE, autorizzò la costruzione di una struttura simile ad una chiesa sui resti di un vecchio luogo di culto sempre interno alla città vecchia. Per gli albanesi si trattava di un’offesa, quella di costruire un oggetto della cristianità nel centro città, mentre per altri, Sverceri inclusi, è stato il momento di menare le mani. Vennero arrestati 55 tifosi ma nessuno finì in galera. Tutti vennero liquidati con tre mesi di galera con la condizionale. Anche se la corte di Skopje nega che sia stato usato il guanto anziché il pugno di ferro per convenienze politiche, è tuttavia evidente che vi sia stata una spinta dall’alto. Anche perché i Komiti rappresentano la spina dorsale del partito VMRO-DPMNE, nato negli anni ’90.
AIUTO – Oggi tuttavia i tifosi sostengono di non ricevere finanziamenti o favori politici. I Komiti hanno un codice di comportamento nel quale si annuncia il benvenuto a tutti i nuovi sostenitori provenienti da ogni parte politica. Secondo il documento non devono esserci differenze o discriminazioni. A confermarlo un portavoce anonimo, in quanto i Komiti non possono parlare con i giornalisti. Ufficialmente quindi le porte sono aperte. Gli albanesi invece, per quanto anche loro preoccupati dalla necessità di mantenere l’anonimato, spiegano che l’impegno sugli spalti potrebbe aiutare anche loro a trovare un lavoro, anche se i precedenti con la polizia potrebbero causare dei guai se le cose dovessero girare per il verso sbagliato.
ME LA SONO CAVATA – Un altro membro dei Ballisti ha confermato che per un’aggressione da lui condotta nel paese si è preso solo una piccola multa mentre in qualsiasi altro Paese d’Europa avrebbe passato per la stessa cosa molti anni in prigione. Chissà, forse si sarebbe salvato anche in Serbia, altro Paese dove vi è un forte legame tra curve e politica, stabilito già dagli anni ’90.
VIOLENZA SERBA – A differenza di Skopje, Belgrado non è una città in presa a divisioni etniche. Qui invece i tifosi sono criminali comuni che usano il calcio come copertura. Sasa Todorovic, responsabile per la polizia locale sulla violenza negli stadi ha spiegato che le curve sono organizzate come fossero una milizia, dai comandanti alle sentinelle. Oggi gli ultras vengono arrestati con le accuse di ricettazione, spaccio di droga, violenza ed omicidio. I loro compagni chiedono libertà incitando alla libertà di espressione ed al nazionalismo quando invece, secondo Todorovic è una scusa per gestire i propri traffici in libertà.
LE INTEMPERANZE DI GENOVA – Genova, ottobre 2010. La partita di calcio Italia – Serbia viene sospesa per via delle intemperanze dei tifosi ospiti. Tra questi si distinse un tifoso con passamontagna il quale, seduto sulle paratie divisorie tra spalti e campo, incitò alla violenza ed al nazionalismo serbo. Costui è Ivan Bogdanov il quale si lanciò in tale comportamento non per la sospensione in sé ma per punire il portiere Vladimir Stojkovic di avere abbandonato la loro squadra del cuore, la Stella Rossa, per finire tra gli arcinemici del Partizan.
UN PO’ DI STORIA – Poi non possiamo dimenticare Arkan il quale dopo aver fatto i soldi ed essersi guadagnato una posizione riuscì ad avere un discreto successo con la sua squadra, l’Fk Obilic, la quale vinse anche un campionato serbo e si distinse sopratutto per la sua tifoseria,. I suoi sostenitori erano quasi tutti veterani para-militari che prima delle partite scortavano gli arbitri spesso puntando armi contro di loro, per far capire che è il caso di essere accondiscendenti. Eppure sopra tutto per capire il ruolo del calcio nei Balcani è necessario registrare un episodio: 13 maggio 1990 a Belgrado, Stella Rossa contro Dinamo Zagabria. I serbi aggredirono a colpi di coltello e di sedie. I croati risposero a pugni mentre i poliziotti, serbi anche loro, picchiarono gli ospiti. Entrò nella storia la difesa di Zvonimir Boban nei confronti di un ragazzo malmenato da un poliziotto. Quel giorno iniziò la disgregazione della Yugoslavia.