Categorie FaceBookScritto da Paolo Nasutogiovedì, 2 Agosto alle ore 01:36
Quando ti avvicini allo stadio per la prima volta, fondamentalmente, pensi a divertirti. Forse c’è anche un po’ di mitomania, di auto-esaltazione, e voglia di distinzione. Ma se poi, passato il periodo di avvicinamento, diventi coinvolto nella vita della curva, e cominci a militare per vari anni, ti accorgi di essere in una guerra di trincea, asserragliato contro i nemici più disparati che si possono incontrare.
E mentre gli altri cominciano a usare l’aviazione, i satelliti-spia, armi sempre più sofisticate e magari un buon servizio di controspionaggio, tu sei sempre là, solo con i tuoi compagni, a combattere contro tutti e tutto, a difendere ciò che c’è dietro la tua linea di combattimento, ben consapevole che tanto, prima o poi, perderai. Perché tu, o i tuoi commilitoni, mano a mano, o perirete, o vi arrenderete per subentrata stanchezza. Ma prima di sparare l’ultimo colpo di mortaio ti accorgerai di quanta acqua è passata sotto i ponti, e di come sia diventato troppo grande per te quello che all’inizio poteva essere poco più di un gioco.
Signore e signori, questo è il movimento ultras.
Continue battaglie, più nemici, momenti di azione, altri di stasi e strategie, ma alla fine sempre pronti ad imbracciare armi e ideali per difendere forse l’unico pezzo di mondo che riteniamo valga ancora la pena di essere vissuto. Con la consapevolezza che tanto, prima o poi, non ci sarà più niente da fare.
Quante battaglie il movimento ultras ha affrontato in questi anni? Tante. Tutte in buona fede, quasi tutte dalla parte della ragione. Ma quasi nessuna battaglia vinta.
Pay tv: all’inizio era solo Tele+. Con un solo posticipo di Domenica, credo fosse ancora la prima metà degli anni ‘90. Poi arrivò anche Stream, con le società di calcio che potevano decidere a chi vendere i propri diritti televisivi. Poi un unico operatore a pagamento, Sky, e la fine di tutto. Serie B (Win… bleah!) al Sabato, con posticipi di Lunedì sera e anticipi di Venerdì, ultimamente posticipi la Domenica a pranzo. Serie A: a volte di Venerdì sera, Sabato ore 18 e ore 20:30, Domenica ora di pranzo, turno di domenica tradizionale pomeridiano con partite di quasi nullo interesse, posticipo la Domenica sera e in più, di tanto in tanto, il Lunedì sera. Poi si chiedono perché la gente non si abboni più (tessera del tifoso a parte). Quanta vernice hanno usato in questi anni gli ultras per fare striscioni e protestare contro questa pazzesca sarabanda di orari, dettati dalla sola necessità di fare lucro? Quante proteste originali sono state ignorate da tutto l’ambiente calcistico? Purtroppo, al contrario di ciò che tutti dicono, non è l’ultras che comanda. Anzi. Aspettiamoci le partite tra Venerdì e Sabato a Mezzanotte e il matinée alle 10 di Domenica per partite di seconda fascia. Con buona pace del mondo cattolico.
Striscioni autorizzati: una volta quasi tutti gli striscioni non passavano per alcun controllo. Ma parlo degli anni ‘80. Finita quell’età dell’oro, i controlli in tutti gli stadi, ma, legalmente o sottobanco, poteva ancora passare di tutto. Poi perquisizioni sempre più capillari, tuttavia, fino a qualche anno fa, niente e nessuno impediva almeno agli striscioni dei gruppi di entrare. Certo, per un certo tempo alcuni striscioni come quello del Commando della Roma dopo Paparelli, o dell’Opposta Fazione della Roma, o quello dell’Armata Rossa del Perugia non potevano entrare, ma finito il periodo di tensione, a volte più lungo, a volte meno, tutto tornava come prima. Poi, nel 2007 è arrivato il fax. Entrata del proprio striscione solo previa comunicazione fax da inviare alla questura qualche giorno prima della partita, sia per le tifoserie di casa che per gli ospiti. Un sistema che purtroppo non è stato ancora revocato. Poi da qualche parte si chiude un occhio, da altre parti ne chiudono due, ma tutto è in base all’elasticità delle forze dell’ordine del posto. La regola generale non cambia: lo striscione va comunicato alla questura in anticipo, punto e basta. Tra gli ultras c’è chi non ha più appeso nulla, chi ha portato stendardi, chi ha provato a far entrare diciture alternative e più neutre. Ma, in ogni caso, quello che sembrava un sistema provvisorio, per quanto riguarda la gestione degli striscioni, non è cambiato. E gli ultras non hanno potuto fare veramente nulla, nonostante lo striscione sia l’anima di un gruppo.
Materiale coreografico e per il tifo: anche le coreografie, dalla Legge Amato in poi, vanno preventivamente autorizzate dalle questure, purché in linea con determinati principi relativi alla sicurezza. Per quanto riguarda il materiale pirotecnico, invece, si è passati alla criminalizzazione del solo possesso vicino allo stadio, perseguibile addirittura penalmente. Per non parlare del materiale acceso dentro ad uno stadio, dove chiunque viene colto in fragrante si becca denuncia, daspo, ed un processo sicuro. Questo nonostante il materiale pirotecnico viene dichiarato dalla legge stessa “di libera vendita”, come ben indicato dalle etichette di molti prodotti pirotecnici. Non va meglio per i tamburi, vietati quasi ovunque tranne silenzio-assenso della questura (pochi i casi); a usare le percussioni erano la maggioranza delle tifoserie esistenti prima della legge Amato. Poi ci chiediamo perché oggi i ragazzi non sanno scandire i cori, vanno troppo veloci e fuori tempo, come fosse una gara a cronometro. Stesso discorso per megafoni e altoparlanti. Nessun miglioramento della situazione generale dal 2007 ad oggi.
Biglietti venduti il giorno della partita: dilettantismo a parte, le quattro serie professionistiche hanno dovuto fronteggiare una norma assurda che prevede l’acquisto del tagliando di ingresso soltanto in prevendita, col divieto assoluto di vendita allo stadio il giorno stesso della partita. Se questa situazione, soprattutto nell’ultimo biennio, è notevolmente migliorata (molte società hanno aggirato questo divieto e vendono tranquillamente i tagliandi di casa anche il giorno stesso dell’evento), proteste di ultras e pubblico a parte, è per la presa di posizione da parte dei club, i quali devono fare i conti con il progressivo svuotamento degli stadi e i mancati introiti economici; questo soprattutto se riferito a quelle realtà che non godono dei profitti derivanti dai diritti televisivi. Forse questo è l’unico miglioramento a cui abbiamo assistito dal 2007.
Caro-biglietti: soprattutto in questi tempi di crisi e di disagio sociale, una risposta da parte delle società poteva essere quella di tagliare i costi dei biglietti o, se non altro, di agevolare gli abbonamenti come si faceva non troppo tempo fa. Purtroppo i problemi della lievitazione del prezzo del biglietto sono tutt’altro che superati. A parte qualche società che cerca chiaramente di attirare il proprio pubblico, il vero scandalo consiste nelle tariffe per il settore ospiti. Fermo restando che, tra gare limitate ai soli tesserati e gare completamente vietate dalle autorità, delle trasferte rimane ben poco, sono troppe le società che vendono i tagliandi per gli ospiti ad un prezzo completamente sconsiderato, a volte completamente gonfiato quando la gara diventa di una certa importanza. I gruppi ultras, o almeno la maggioranza di essi, hanno fatto sentire spesso e volentieri la loro voce, anche se, appunto, si è andati in trasferta sempre meno. Ma le società di calcio non sono quasi mai tornate sui loro passi. Per offrire, in compenso, dei settori ospiti assolutamente scomodi e inadeguati.
Biglietto nominale: per quella che è la mia modesta opinione, dovrebbe essere la madre di tutte le battaglie. Il sistema del biglietto nominale è semplicemente scandaloso, completamente sballato da ogni principio cardine di quella che dovrebbe essere la democrazia italiana, valida solo sulla carta. Introdotto ormai già da qualche anno, è stato un po’ la prima pietra di quella che è la tessera del tifoso. Dare nome e cognome per un controllo della questura on-line (che purtroppo sta entrando a pieno regime) al momento dell’emissione del tagliando, è già di per sé una limitazione della libertà. I favorevoli dicono che così chi è soggetto a Daspo non entra negli stadi. Ho le mie perplessità. La realtà è che il sistema questura online, oltre a catalogarti in un database statale come “frequentatore di gruppi ultras”, è una pistola puntata alle tempia di tutti noi, e pronta a sparare nel momento che si applicherà alla lettera il famoso articolo 9 della legge sulla violenza negli stadi che praticamente regala un Daspo a vita a chi ha già scontato, anche ormai da parecchio tempo, e anche se del tutto estraneo ai fatti contestati, il proprio divieto di accesso allo stadio. In poche parole, il biglietto nominale è un sistema di controllo sociale a tutti gli effetti, che colpisce il tifoso abituale ma persino il tifoso occasionale. In più, questo sistema, che prevede un altro controllo di identità allo stadio, è ciò che più di tutti rallenta la fruibilità dell’evento e l’accesso materiale allo stadio. Con code a volte di un’ora per entrare nel proprio settore.
Divieto di trasferta: il divieto di trasferta è uno dei provvedimenti emanati dalle autorità ministeriali negli ultimi anni che più si avvicinano alla violazione dei principi fondamentali garantiti dalla Costituzione. Uno Stato come il nostro (anche se non è il solo in Europa) che vieta a dei cittadini di andare in un’altra città a vedere la propria squadra è uno Stato sconfitto. Ciò nonostante, per alcuni dei nostri politici, il divieto di trasferta è una grande vittoria in materia di sicurezza, come i coprifuoco per locali e discoteche alle 2 di notte. La realtà è che nei piani alti non sanno (o non vogliono sapere) il limite tra liberticidio e garanzia della sicurezza. Fatto sta che, queste proibizioni di andare a vedere la propria squadra fuori casa, oltre a mantenere in vita due organi inutili coi nostri soldi (Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive e Casms), registrano dei divieti veramente assurdi. Ogni Comunicato del Casms, se non ci fosse da piangere, sarebbe una sfilata di battute comiche: divieti di partite di hockey, partite a porte chiuse nei dilettanti anche in partite dove non vi sono tifoserie, trasferte vietate anche a chi ha la tessera del tifoso, e così via. Purtroppo, il dato più evidente, è che oltre ad aver tolto il totem di un gruppo ultras, lo striscione, si è andati a colpire un principio cardine: la presenza ovunque. Che ormai può garantire solo chi ha la tessera del tifoso. Tutti gli altri, purtroppo, sono tagliati fuori anche se c’è chi ancora prova, con onore ad entrare negli stadi nonostante i divieti.
Tessera del tifoso: la Visa Electron dipinta coi colori sociali della propria squadra è la figlia legittima di una classe politica e sportiva (che poi qua in Italia sono la stessa cosa) serva delle banche e assassina della libertà di aggregazione, di pensiero e di circolazione. Una tessera che è obbligatoria per andare in trasferta, con la promessa di agevolazioni che poi, a conti fatti, sono veramente di poco conto. Peccato che, a parte il disgustoso sistema commerciale che favorisce le banche e la speculazione commerciale, per avere questa tessera, bisogna sempre bypassare il sistema della questura online. Da aggiungere che molti club di calcio ci hanno messo del loro, chiedendo nel modulo di richiesta persino se si avessero condanne penali al di fuori dello stadio. Inutile disquisire sui vari punti come il principio fondamentale dell’articolo 9, vera spada di Damocle per chiunque voglia andare allo stadio senza sentirsi una persona schedata a priori. Lo scandalo risiede nell’obbligatorietà della tessera non solo per andare in trasferta, ma anche per avere l’abbonamento della propria squadra del cuore. Purtroppo, la questione tessera ha letteralmente spaccato gli ultras: da una parte i tesserati, ovvero coloro che non hanno visto niente di nuovo nella tessera del tifoso rispetto agli ultimi provvedimenti in materia di sicurezza negli stadi; tesserati che hanno provato a giocare secondo le regole, sostenendo che solo così avrebbero potuto godere di una relativa libertà nel proprio modo di agire. Dall’altra parte della barricata i non tesserati, ovvero coloro che, spesso e volentieri, hanno fatto del rifiuto alla tessera una ragione di vita, con spunto per autentiche campagne sociali e di controinformazione. La repressione, così, oltre a limitare non di poco la libertà di azione del nostro movimento, ha creato una spaccatura interna tra tifoserie, talvolta sfociata in vere e proprie diatribe tra “puri” e “servi dello Stato”. Di sicuro, come battaglia, non è stata vinta. L’abolizione della tessera resta solo un lontano miraggio.
Voucher (carnet di biglietti) prepagato: forse il capolavoro del sistema repressivo, ovvero: come ti trasformo una iniziativa di carattere ultras in una vittoria definitiva dello Stato. Il sistema voucher, studiato, analizzato e approfondito in buona fede dai migliori avvocati dalla parte degli ultras, è stato, a conti fatti, adottato dallo stesso Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive. Il sunto è: ti tolgo i riferimenti bancari e le violazioni sulla privacy, ma ti schedo online con tanto di una tua fotocopia a colori del documento. Et voilà, le jeux sont faits, rien ne va plus! Alla faccia di tutti quei gruppi, contrari alla tessera, che hanno utopicamente abbracciato il voucher come fosse una loro vittoria, solo perché non si chiama tessera del tifoso e solo perché non è un prodotto affiliato alle banche, come sarebbe comunque dovuta diventare prima o poi la tessera del tifoso in base a quanto già deciso dal Garante della Privacy. Con la fregatura che, dopo aver fatto una tessera del tifoso edulcolorata, non si può nemmeno neanche andare in trasferta. Nulla da aggiungere, se non l’amarezza che molti gruppi refrattari alla tessera hanno accettato tutto ciò in buona fede (ma informandosi poco).
E ora?
Anche se non tutti condivideranno le mie opinioni, il voucher elettronico è la Caporetto del mondo ultras italiano. Lo Stato ha vinto, bisogna farsene una ragione, allo stato attuale delle cose. Il movimento ultras, come lo conoscevamo noi che abbiamo vissuto gli anni ’90, ma anche i primordi del nuovo millennio, non esiste più. Esiste solo una brutta copia di ciò che era, e anche chi ci crede ancora, e continua ad andare in curva, ha subito una messa in piega da urlo da parte dei coiffeur della repressione. Ho voluto menzionare, a mo’ di riassunto, tutte le principali battaglie perse, e ho volutamente omesso altri aspetti frustranti come il mondo del giornalismo, l’arroganza delle forze dell’ordine in molti stadi italiani, il declino morale delle curve, la mitomania dei ragazzetti che le comandano, l’assenza di grandi maestri dell’arte di vivere lo stadio. Vedere oggi gli striscioni autorizzati, la mancanza di bandiere, i cori intonati a duecento all’ora a causa del divieto di portare il tamburo, o tifosi con la tessera del tifoso in trasferta, è come provare a mangiare un piatto di pastasciutta in un ristorante americano. Quindi la resa è definitiva? Oppure qualcosa ancora si può salvare? Dopo aver dipinto un quadro più disastroso della Guernica di Picasso, voglio chiudere con tre piccoli punti di appiglio per poter, magari, un giorno, ritrovare l’orgoglio perduto di chi ha creduto veramente all’alternativa ultrà in un mondo fatto di merda.
Dilettantismo: cosa c’è di male nello scendere di categoria? Assolutamente nulla. Orari differenti alla serie A, B e C, giocatori locali più attaccati alla maglia, niente divieti (oppure pochi e spesso facilmente aggirabili), tessere del tifoso, biglietti nominativi, striscioni autorizzati. Anche se per molti il fallimento della propria società è un disastro, secondo me per una tifoseria è una boccata di ossigeno. Lo vorrei chiedere, per esempio, a Veneziani, Anconetani, Teramani, Sambenedettesi, Riminesi, Aretini, Pistoiesi, Ravennati, Messinesi e altre tifoserie che hanno provato, provano, o proveranno questa forzata esperienza. Non so. Io quando vedo una qualunque tifoseria ripartire dal basso, vedo anche sempre più gente allo stadio, gruppi compatti come non mai, libertà di azione e di movimento. Certo, non mancano gli abusi in questo mondo (sempre gli Anconetani potrebbero parlare) o i divieti, ma è comunque una dimensione imparagonabile rispetto ai professionisti. Pur dispiaciuto per la fine fatta dal Taranto, per esempio, sono pronto a scommettere su una rinascita della tifoseria Jonica. “Ma bisogna per forza sperare che la propria squadra sprofondi tra i dilettanti?”, potrebbe chiedermi qualcuno. Beh no. Dico io: tutti avremo una squadra del paese, o del quartiere se si abita in una grande città. Che bello se questi piccoli catini tornassero a riempirsi come gli anni ’80, magari creando qualche gruppetto ultras fatto dai ragazzi della zona e facendo aggregazione. Poi ci provassero i vari Osservatori e Casms a mettere la museruola anche a questo inafferrabile mondo….
Estero: probabilmente il mondo ultras è una ruota che gira: una volta erano i gruppi stranieri che venivano in Italia ad imparare. Oggi, per forza di cose, realtà come la Germania, la Svizzera, i paesi Balcanici, ma anche la Grecia, la Polonia, e altre realtà in altri campionati (come ad esempio i Marsigliesi o Nizzesi i Francia) ci hanno superato: curve strapiene, cori possenti per 90 minuti, goliardia, bandieroni, canti ben scanditi e ritmati, coreografie, torciate, striscioni tematici, trasferte. Forse sarebbe bene, di tanto in tanto, e in base alle proprie possibilità, viaggiare non tanto per imparare (anche se per quello non si finisce mai), ma per ricordare chi eravamo noi. E magari, un giorno, semmai le corde della repressione dovessero allentarsi, sarà stato utile un riferimento per poter iniziare.
La mia (nostra) generazione: pur per sbaglio, appartengo agli anni ’70. Ma hanno vissuto bei momenti di stadio anche coloro nati nel decennio dopo, anche se per troppo poco tempo hanno potuto rendersi pienamente conto di quanto bello fosse quel gioco. In ogni caso questa generazione è cresciuta, e ha modo di accedere all’informazione e diffonderla. Noi non saremo mai dei giornalisti pagati, non facciamo parte di questo sistema, ma proprio per questo possiamo ancora (contro) informare. Penso, ad esempio, a Sportpeople: un periodico online di movimento ultras, senza il minimo lucro, che ormai va a vele spiegate verso i suoi 10 anni. I collaboratori che ci sono oggi, di cui io sono solo l’ultima aggiunta, non vi hanno dato solo notizie di scontri e trasferte vietate, ma vi hanno fatto un po’ sognare raccontandovi (a volte facendo un’impresa impossibile) ciò che di bello appartiene ai nostri stadi: il tifo, le sane rivalità calcistiche, i colori delle curve. La nostra generazione può diffondere il messaggio di ciò che siamo stati e continuiamo ad essere, riproponendo, pur con molta fatica, quello che vive oggi con gli stessi occhi del giovane ragazzo che è entrato, anni addietro, per la prima volta in curva, conservando ancora la stessa emozione sulla pelle e la stessa magia dentro al cuore.