sabato, Maggio 17, 2025 Anno XXI


Come sempre, per leggere qualcosa di decente, tanto su Cassano quanto sul resto dei temi caldi dell’attualità, bisogna gettar nello sciaquone i media “mainstream” e rivolgersi ai più onesti blog.
Leggo senza aver visto commenti di giornali sulle parole di Antonio Cassano di ieri sui “froci”. In questa vicenda sono al lavoro due pilastri dei media e di questa Italia: l’Anima Tabloid e Il Frutto Marcio del politicamente corretto. Ho fatto il giornalista sportivo, credo di sapere di cosa parlo.

1) Negli anni del centro destra al governo è nato il circolo vizioso dell’anima tabloid: la costruzione a freddo di casi su cui il circo poi possa scontrarsi. Costruzione su catena di montaggio: nel caso di ieri, da Cecchi Paone e la Zanzara (te li raccomando, quelli) all’inviato dell’Ansa che fa la domanda all’uomo giusto. Ognuno lavora un pezzo. Il risultato è la scandalizzata polemica dei benpensanti. Cioè il successo assoluto dei costruttori di anima tabloid.

2) Se quella appena detta qui sopra è la realtà, allora quello che non funziona sta dentro il giornalismo, in questo caso quello sportivo. O meglio dentro la rete di rapporti sociali e di potere di cui il giornalismo è sempre lo snodo. Il giornalismo sportivo è uno strano pianeta a due facce: un po’ puttanieri, sessisti, machisti, parlano di “froci” come Cassano non farebbe da ubriaco, e molti altri che si autoeleggono a narratori del Buono e del Bene.

Ogni giorno andiamo a intervistare ragazzi di vent’anni che giocano bene a pallone e per il resto pensano al sesso e a come spendere i soldi. Ma a noi, che siamo destinati a sentirci Hemingway nello spogliatoio, la cosa sembra poca poca, meschina, riduttiva, avvilente. E allora ci sforziamo per cacciar fuori modelli, casi umani, storie, secondo la famigerata idea che il campione “è un esempio” e quindi ha una responsabilità sociale di ben comportarsi (per cui quello è fascista ma tu-Federazione lo porti ad Auschwitz e quello fa addolorate dichiarazioni e viene da ridere a tutti sapendo quello cosa pensa in realtà…).

Costruiamo mondi immaginari di retto vivere e di atleti che si nutrono di grandi poeti e filosofi, laddove in quelle vite c’è, come in tutte, banalità, piattume, una vita fatta di borse sfatte e rifatte, allenamenti sempre uguali, incazzature e speranze e livori come in ogni lavoro umano. Con la differenza che quelli hanno 20 anni – e una cultura urbana di adolescenti fra i quali, da sempre le parole “ebreo” , “frocio” e “negro” usate come insulto sono quotidianità.

E invece si è venuto formando questo giornalismo dei buoni sentimenti, delle grandi storie, dei Casi Umani Significativi, questa scorza di gloria ufficiale e onesto sentire che è un sudario su una realtà che parla delle donne come in una caserma di Lanzi, che odia gli omosessuali, che è la “normale” vita dei ragazzi di questo paese, che giochino a pallone o no. L’ho fatto anch’io, il giornalismo dei Casi Umani Significativi, non me ne sento fuori.

Il vero pezzo sarebbe raccontare questa mediocrità infetta, senza complicità. Ti permetterebbe di far conoscere un ragazzo come tanti, che odia gli omosessuali per ignoranza e pregiudizio. Ma poi, se lo fai, il giorno dopo i tifosi ti menano, il ragazzo non ti parla più, e le notizie non ce le hai, e forse il giornale si incazza. E allora meglio, con la complicità di istituzioni, atleti e capi servizio, tutti a raccontare il mondo che non c’è: quello, per intenderci, della dichiarazione serale di Cassano, lavoro straordinario di qualche addetto stampa affaticato.

Peccato. Raccontare lo schifo del mondo sarebbe più vicino ai lettori-esseri umani, aiuterebbe – risultato non di poco conto – a conoscere ciò che siamo e non ciò che diciamo di essere. E permetterebbe di non fare interviste di ore, e libri di centinaia di pagine, senza mai chiedere al noto campione omosessuale: “Scusi, ma lei perché ha sempre nascosto se stesso, lei che avrebbe tutta il potere di farlo dando forza a chi è perseguitato, perché non hai mai detto di esser gay? Avrebbe davvero fatto il campione”. Ma quello no, non si fa, quello che sarebbe il vero scoop in termini di vita e di dignità umana. Perché il motivo per cui l’ipocrisia non muore mai è che accomoda interessi diversi e impacchetta nel silenzio le convenienze di tutti.

[Fonte: Sabato Trippa]

Per Corederoma
Paolo Nasuto