Categorie FaceBookScritto da Paolo Nasutomartedì, 12 Giugno alle ore 01:48
Riflessione a tutto tondo (e volutamente polemica) sugli ultras in tempo di tessera del tifoso. Nella speranza (forse vana) di aprire un fronte di confronto quanto più ampio possibile, a disposizione per chiunque volesse controbattere a quanto affermato.
Crescere
E’ finita un’altra stagione calcistica, ma non è stata affatto una stagione come le altre, almeno per i Gruppi ultras. La maggior parte dei Gruppi, non avendo sottoscritto la Tessera del Tifoso / Fidelity Card, non ha fatto trasferte. Certo, c’è stata qualche eccezione, e qualcuno è riuscito ad entrare nonostante gli fosse proibito, sfruttando le falle di un sistema non ancora a regime e utilizzando dinamiche molto diverse da quelle tradizionali, ma sono state piccole e insignificanti eccezioni alla regola. Una regola, il Protocollo d’Intesa del 21 giugno 2011, molto chiara fin da subito, ma che il mondo ultras non ha visto o non ha voluto vedere, per evitare di porsi domande a cui, probabilmente, non vuole rispondere.
Anche senza trasferte la repressione ha colpito in grande stile, dando una particolare dimostrazione di forza in occasione di Genoa-Siena, dove una semplice contestazione (mica scontri, per carità) è finita con più di cento diffide; un presidente pregiudicato (già condannato per frode sportiva e bancarotta fraudolenta, che ha evitato il carcere grazie all’indulto) in tv a chiedere la galera per gli ultras; e i media (con la complicità di opinionisti, giocatori e dirigenti di oggi e di ieri) a costruirvi sopra una notizia, capace per giorni di far passare in secondo piano, addirittura, la terribile ed inesorabile agonia di questa penisola. Poi, il nuovo scandalo pallonaro tipico delle nostre estati. Ma questa volta non ha visto come attori principali i dirigenti, ma i giocatori, quelli che indossano la maglia, i beniamini dei tifosi, ultras e non. Niente combine per far arrivare la squadra in alto o per evitarle la retrocessione; nessuna disonestà a fini “sociali”: i giovani miliardari hanno scommesso esclusivamente per sé, anche contro la propria squadra, alterando partite e perdendo derby. Probabilmente era già successo, ma adesso ne abbiamo la certezza. Anche per questo è una stagione diversa.
La cosa più sorprendente è l’apatia del mondo ultras. Dopo avergli già tolto praticamente tutto: gli vietano le trasferte, gli impediscono di avere rivali con cui confrontarsi, e gli vendono anche i derby. E loro che fanno? Niente. Tutto viene accettato, come se non ci fosse un limite per dire basta. Le uniche “proteste” sono scritte: articoli e striscioni. Niente altro. Nessuna azione.
Dopo le mille iniziative nel periodo pre-Tessera, il mondo ultras sembra essersi paralizzato, incapace di reagire o anche solo di ragionare, in merito a ciò che lo circonda e che continua a mutare. Dopo una stagione del genere era logico attendersi almeno dibattiti e riflessioni, e non feste di vario tipo. Di certo gli ultras italiani non hanno niente da festeggiare.
Nel corso di quaranta anni il mondo ultras italiano si è evoluto, e la cosa è normale. Basti pensare che agli inizi non c’erano adulti, mentre oggi sono la quasi totalità del movimento. Negli ultimi anni però, a partire soprattutto dal dopo-Raciti, è cambiato radicalmente il modo di “vivere ultras”. Oggi siamo a zero trasferte, zero striscioni, zero torce e fumogeni. Avere di fronte un gruppo ultras avversario è diventata una rarità, e talvolta si cantano cori offensivi non per stuzzicare l’opposizione, che non c’è, ma come amarcord. Come già detto ci sono state delle piccole eccezioni, ma molte di queste cose sono ormai la regola, specie per i Gruppi no-TdT. Le eccezioni poi, al di là dei rischi e dei sacrifici compiuti da chi è riuscito a metterle in atto, evidenziano ancor di più la crisi di questo mondo, con immagini che sono di tifo, ma esprimono desolazione, e ricordano la vecchia serie tv “I sopravvissuti”. Effettivamente questo microcosmo ultras appare come un mondo al suo crepuscolo, il cui unico scopo è rimandare l’inevitabile. Di certo ha perso ogni attrattiva e di conseguenza i ricambi generazionali (tra l’altro in una nazione senza figli) sono un’utopia.
Tesserarsi o non tesserasi?
Negli ultimi anni i Gruppi ultras hanno dovuto fare delle scelte, anche molto difficili. Due di queste hanno cambiato volto al mondo ultras italiano: dichiarare o non dichiarare i propri striscioni; fare o non fare la Tessera del Tifoso.
Quando entrarono in vigore le cosiddette “norme anti-tifo” dell’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, subito dopo la morte dell’ispettore Raciti, il 14 marzo 2007 con la determinazione n. 14, gli striscioni dei Gruppi iniziarono ad aver bisogno di un’autorizzazione per potere essere esposti allo stadio. Molti Gruppi rifiutarono questa procedura, ma non tanto o non solo per motivi di principio, quanto per motivi pratici: l’iter burocratico era estremamente complesso (per certi aspetti quasi impraticabile); la richiesta doveva essere presentata partita per partita (almeno in trasferta); non vi era la certezza che la richiesta sarebbe stata sempre accolta; l’autorizzazione poteva essere anche ritirata, quando membri “ufficiali” del Gruppo fossero stati colpiti da Daspo.
Dinnanzi all’incertezza di questa strada, molti Gruppi ultras decisero di non richiedere autorizzazioni, e smisero di esporre il proprio striscione aderendo, chi più e chi meno convintamente, al principio secondo cui “Non si chiede permesso per entrare”.
In quel periodo chi accedeva allo stadio, infatti, non era controllato preventivamente. Doveva fornire le proprie generalità, presentando un documento d’identità necessario alla stampa del biglietto nominale, ma i controlli non erano anteriori all’emissione ma solo (eventualmente) posteriori.
La lotta degli ultras alla Tessera del Tifoso, poi introdotta da tutte le società nella stagione 2010-11, iniziò praticamente nel 2008 e raggiunse il suo apice nel periodo primavera-estate del 2010. Il “no” dei Gruppi, durante questa fase, si basava essenzialmente sul tener fede al principio a cui vari Gruppi ultras avevano aderito nel 2007: “Non si chiede permesso per entrare”. La Tessera del Tifoso infatti, si sapeva che avrebbe differito dagli altri titoli di accesso di quel tempo, soprattutto per il fatto che per il suo rilascio sarebbero stati effettuati controlli preventivi sul richiedente. Una differenza sostanziale, che tra l’altro avrebbe permesso, se voluto, di applicare alla lettera l’art. 9 della Legge Amato, ovvero: la Tessera avrebbe potuto essere negata a tutti i soggetti destinatari di Daspo, anche se già scontato. Un’ipotesi che, di fatto, avrebbe decimato tutti i Gruppi, azzerandone i vertici, e impedendo a migliaia di persone, comunque molto appassionate, di poter andare allo stadio. Per questo il “pericolo” venne inizialmente avvertito da tutti. Fino ad allora l’art. 9 non era stato operativo, giacché i controlli non erano preventivi. Proprio per questo l’art. 9 venne quasi ignorato dal mondo ultras al momento della sua introduzione, nel marzo del 2007, ma iniziò ad essere oggetto di analisi e critiche a partire dagli inizi del 2009 (due anni dopo), con l’introduzione delle prime tessere (in particolare “Cuore rossonero” del Milan).
Oggi però siamo a metà 2012 ed è cambiato tutto. Continuare a far finta che non sia successo niente, e che non sia cambiato nulla, è fuori da ogni logica.
Già dalla fine del 2010 (quasi due anni fa!), nella maggior parte degli stadi italiani l’emissione dei biglietti nominali iniziò ad adottare (com’era previsto e risaputo da molto tempo) le stesse verifiche preventive della Tessera del Tifoso. Per cui per ogni titolo di accesso (TdT o biglietto) si verifica, in tempo reale, la presenza del richiedente in una cosiddetta “lista nera”, compilata dagli organi preposti. Da allora tutti coloro che entrano alla stadio, con la Tessera o con qualsiasi altro titolo d’accesso: chiedono il permesso per entrare, che gli può essere concesso o negato. L’unica differenza con l’emissione delle prime Tessere del Tifoso è nella tempistica. Mentre per le prime Tessere i controlli richiedevano più tempo, ormai per TdT e biglietti avvengono in tempo reale giacché il sistema è stato completamente informatizzato.
Per quanto riguarda l’art. 9 della Legge Amato non è stato, e non è applicato, nella stragrande maggioranza di casi, e gli ultras ex-diffidati possono generalmente fare il biglietto e/o ottenere la TdT/FC.
Con la determinazione n. 26/2012 dell’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, emessa il 30 maggio 2012, l’autorizzazione per l’esposizione degli striscioni è stata nettamente semplificata, mentre per quanto riguarda le trasferte è tutto come la stagione scorsa, così come stabilito dal Protocollo d’Intesa del 21 giugno 2011, frutto dell’accordo tra Ministero dell’Interno, Coni, Figc, Lega Serie A, Lega Serie B e Lega Pro.
A questo punto le strade sono due: rimanere fedeli al principio “Non si chiede permesso per entrare”, per cui non si sarebbe dovuto fare la Tessera e non si sarebbe dovuto fare alcun biglietto dalla fine del 2010; o andare avanti, adeguandosi alla nuova realtà.
Chi ha scelto la prima strada ha già lasciato lo stadio. Chi continua ad andarci e vuole continuare ad andarci dovrebbe evitare inutili ipocrisie. La differenziazione tra Gruppi ultras tesserati o non-tesserati, tra chi autorizza o non autorizza lo/gli striscioni, non è sostanziale e comunque è, da anni, del tutto superata.
E’ giusto continuare a lamentarsi dell’art. 9 della Legge Amato (Decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8) ma senza dimenticare che esso si applica a tutti (vedi comma 1) i “titoli di accesso” e non solo alla TdT/FC. Se non si vuole rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 9 della Legge Amato, almeno finché questa sarà in vigore, c’è solo un modo: non andare allo stadio.
Forse l’ultras si è preso un po’ troppo sul serio. Certo, agli inizi i Gruppi erano fatti di ragazzini, e adesso i ragazzini sono diventati adulti (e tra questi c’è anche gente di mezz’età), per cui è cambiata la visione delle cose, ma il mondo ultras è sempre il mondo ultras. Niente di meno, ma anche niente di più. Dopotutto essere ultras è “tifo” nel senso di parteggiare per una squadra, ancor prima che incitarla; è seguire la propria squadra; ed è anche scontrarsi con le altre tifoserie. Tutto il resto, giusto o sbagliato, bello o brutto, ammirevole o deplorevole, coraggioso o vile, non ha a che vedere con l’appartenenza generale alla categoria. Dopodiché, come in ogni categoria, anche tra gli ultras vi sono eccellenze e negatività.
Se ci si è stancati di questo mondo, della sua congenita infantilità, delle sue tante contraddizioni, delle ingiustizie che lo affliggono e degli scandali del calcio professionistico, lo si abbandoni, altrimenti si eviti di continuare battaglie senza senso.
Se si vuole impegnarsi esclusivamente nel sociale o nel volontariato, o in altre cose, come ormai fanno molti Gruppi, si può continuare a farlo anche al di fuori del mondo ultras.
L’età media di molti Gruppi si è innalzata così tanto che per motivi fisiologici molti stimoli sono venuti meno e le priorità sono cambiate, com’è giusto che sia. Le politiche miopi di “no” alla TdT, portate avanti ostinatamente da alcuni Gruppi, hanno allontanato vari ultras dalle trasferte, cambiando abitudini di vita che in molti casi non verranno più riprese.
Bisogna crescere. Crescere è anche cambiare, facendo delle scelte e assumendosene le responsabilità.
Forse tutti i Gruppi ultras italiani dovrebbero sciogliersi, per poi rinascere in un’altra forma, con una nuova e diversa identità (nome, simbolo, ecc.).
Potrebbero così nascere nuovi Gruppi (non necessariamente “ultras” in senso stretto o tradizionale), composti prevalentemente da giovani (se ci sono), riscoprendo la voglia di divertirsi delle origini, senza troppe ipocrisie su tessere, biglietti e striscioni. Oppure potrebbe non nascere nulla, il che significherebbe semplicemente che ciò che era vecchio è morto, secondo natura.
Alcuni Gruppi (se ci sono, o parti d’essi), dove le persone nel corso degli anni hanno cementato rapporti che vanno molto al di là dello stadio, potrebbero anche scegliere di rimanere uniti, assumendo una nuova identità, con nuove finalità. Se si è veramente “Gruppo” si può sopravvivere anche al mondo ultras.