Tifosi contro ultras. È ancora possibile amare il calcio?
Categorie FaceBookScritto da Paolo Nasutomartedì, 22 Maggio alle ore 01:55
Domenica 13 maggio ha avuto fine un campionato di calcio che verrà ricordato per la rinascita della Juventus, vincitrice con uno score di risultati positivi che difficilmente in futuro potrà essere eguagliato. Ma questa stagione di calcio verrà ricordata anche come quella dell’addio a giocatori quali Del Piero, Gattuso, Inzaghi, Nesta, Zambrotta, icone delle tifoserie italiane per almeno due generazioni. Tifoserie, appunto. Ci sono anche quelle, perché anche quest’anno è apparso che il calcio sia in mano a dei gruppi assolutamente minoritari, ma straordinariamente organizzati, rispetto alla popolazione dei tifosi e appassionati autentici di un gioco che in Italia non può essere limitato alla definizione di sport in quanto è da sempre un tratto identitario dell’italiano, ad ogni latitudine del mondo. Eh sì, perché non è banale che le glorie e i successi del calcio azzurro siano stati, per i nostri compatrioti che emigravano in giro per il mondo, motivo di orgoglio da opporre come rivalsa ai pregiudizi e alle discriminazioni di cui erano spesso vittime nei paesi che li ospitavano da parte della popolazione del luogo. Il calcio stimola passioni e genera miti. Chi fa parte di questo mondo da protagonista assume un potere comparabile a quello di un grande leader politico. Ed infatti, la politica e i suoi protagonisti si sono spesso interessati al calcio. Un po’ per passione, un po’ per interesse, non solo gli “italiani brava gente”, ma anche la classe dirigente di questo paese ha investito risorse nel mondo del pallone ricavandoci spesso, sul piano sportivo, tante soddisfazioni quante sono state le maledizioni che gli avversari sconfitti hanno loro indirizzato. I trofei in bacheca si sono poi convertiti in consensi sul piano politico. La Juventus è un vero e proprio patrimonio per la famiglia Agnelli, che ha assunto il controllo dei bianconeri fin dagli anni ‘20 trasformandola nel tempo nella più importante società calcistica italiana. Durante il ventennio fascista, poi, il Napoli fu, da allora e per molto tempo, guidato dalla figura controversa dell’armatore e politico sorrentino Achille Lauro, esponente dei monarchici prima e del MSI poi, che grazie alle sue doti di capopopolo riuscì a farsi eleggere sindaco del capoluogo partenopeo e deputato parlamentare per ben quattro legislature. Sul rapporto tra Berlusconi e il Milan sappiamo già tutto. Insomma, il calcio in Italia è davvero importante. Non è solo una passione. È una fonte di potere. Purtroppo di questo ne sono pienamente consapevoli i capi ultras delle diverse tifoserie organizzate che fanno il bello e il cattivo tempo negli stadi italiani, influenzando il comportamento dei calciatori, dei dirigenti e, data la loro pericolosità quasi sempre impunita, anche delle famiglie che spesso preferiscono stare alla larga degli stadi. Cosa avranno detto i papà ai loro figli il 22 aprile scorso allo stadio Marassi di Genovaquando sul 4 a 0 per la squadra ospite, il Siena, i tifosi del Genoa ad un certo punto hanno determinato la sospensione della partita, intimando ai giocatori genoani che dovrebbero sostenere di togliersi la maglie e depositarle sotto la curva perché non meritavano di indossarle? Quel diktat imposto da un gruppo ristretto, ma estremamente violento e ben organizzato, ha testimoniato quanto oramai lo stadio sia, nell’immaginario di questi criminali, una sorta di zona franca dove vige la legge del più forte e non la legge giusta e uguale per tutti. Hic sunt leones dicevano i romani per indicare i territori barbari dove non vigeva il diritto di Roma che regolava la vita ordinata dei cittadini e di tutte le persone che vivevano sul suolo imperiale. Oggi potremmo dire Hic sunt supporters per indicare gli stadi come luoghi dove lo stato si dimentica di essere tale e crede sia meglio assecondare la volontà di questi signori col volto coperto ma che tutti conoscono benissimo. Di fronte a quelle immagini, qualcuno indignato ha detto che mai si era visto uno spettacolo del genere. Sinceramente ci sono due cose che non capisco: innanzitutto mi viene da chiedere se queste persone hanno problemi, direi anche piuttosto seri, di memoria in quanto di prima volta non si può proprio parlare se parliamo di tifoserie violente e organizzate che minacciano i giocatori in campo provocando la sospensione della partita e poi, sempre a questi smemorati, vorrei far presente che in passato si erano già espressi, in situazioni simili per tasso di violenza a quella di Genova, con le solite dichiarazioni d’indignazione. Ovviamente non è mai cambiato nulla. Posso ricordarne alcune che giudico significative: il 21 marzo 2004, durante il derby Lazio-Roma, sette tifosi romanisti invasero il campo e costrinsero la sospensione della partita spargendo la voce della morte di un bambino investito da un’auto della polizia. Ora fatevi quattro risate: i reati dei quali erano accusati i responsabili di quel simpatico scherzo sono stati prescritti nel 2008. Insomma, non è successo niente; il 2 febbraio del 2007 a Catania, muore ucciso l’ispettore capo della polizia Filippo Raciti durante gli scontri tra tifosi del Catania e del Palermo. La guerriglia in quella occasione provocò il ricovero di settanta agenti di polizia; l’11 novembre 2007, nelle vicinanze di una stazione di servizio autostradale all’altezza dello svincolo per Arezzo, viene ucciso da un’agente di polizia il tifoso laziale Gabriele Sandri. La morte del giovane provoca un mezzo finimondo: viene subito rinviata per motivi di ordine pubblico Inter-Lazio e per lo stesso motivo non viene fatta giocare Roma-Cagliari mentre Atalanta-Milan viene sospesa quando era già in corso, perché i tifosi stavano sfondando il vetro divisore tra campo di gioco e spalti a colpi di tombino, e in tutti gli altri stadi d’Italia l’atmosfera era incandescente. Si temeva la caccia al poliziotto, che puntualmente arrivò sottoforma di spedizione punitiva, quando a Roma gruppi di tifosi laziali e romanisti assaltano con spranghe e sassi il reparto volanti della polizia in via Guido Reni, il commissariato in via Fuga, gli uffici del CONI e la caserma dei carabinieri di Ponte Milvio. Una notte di guerra. Alla fine di ognuno di questi accadimenti, dirigenti e politici si alzano indignati dalle poltrone sulle quali sono seduti da anni e si strappano le vesti con tale enfasi che neanche Caifa avrebbe potuto fare di meglio, pur avendo lanciato proprio lui la moda. “È giusto fermare i campionati?” si domandano e ci domandano gli indignati della domenica e i giornalisti, pensando magari con questo interrogativo di colpire le coscienze di persone che vanno in giro con spranghe e sassi e sfondano vetri antriproiettili a colpi di tombini. Certo. Fermiamo i campionati e visto che ci siamo portiamogli pure le pastarelle agli ultras. Adesso non vorrei rischiare di suggerire soluzioni semplicistiche, ma pensare invece di mandare in galera i responsabili di questi crimini è davvero così lontano dalla nostra immaginazione? Oltre a questo poi va ricostruito un rapporto nuovo tra tifoso e stadio basato su regole precise che vadano con il tempo a limitare il potere delle tifoserie organizzate, la cui esistenza non deve più costituire un ostacolo psicologico per le famiglie che devono pensare di poter andare allo stadio per vedere una partita di calcio, che se giocato bene è uno spettacolo niente male.. A Genova abbiamo visto cosa è successo. Alla fine sono stati emessi 110 DASPO verso i responsabili di quell’odioso ricatto che ha determinato lo stop della partita e probabilmente con quel provvedimento si staranno soffiando il naso. Lo stesso giorno – il 22 aprile 2012 – in Inghilterra si giocava Wolwerhampton-Manchester City. Sul finale della partita quando gli ospiti vincevano due a zero, determinando così la retrocessione nella serie inferiore dei Wolwes, i tifosi di casa hanno cominciato a lanciare in campo e nell’aria qualcosa che davvero non si era mai visto: le loro voci che intonavano Que sera, sera (Whatever Will Be, Will Be) come per salutare la Premier League. Saluto sigillato dal fischio finale della partita che ha fatto partire unlungo applauso alle due squadre tanto da parte dei tifosi del Wolwes che da quelli del City, evidentemente colpiti dallo spirito dei loro avversari. Non chiediamo che si arrivi ad una tale poesia perché sarebbe obbiettivamente chiedere troppo, ma almeno porsi il problema di come uscire dall’oscurità nella quale il calcio milionario si ritrova oggi, partendo magari da un rinnovo della classe dirigente del governo dello sport italiano non sarebbe male.