sabato, Maggio 04, 2024 Anno XXI


Meno ricavi, più perdite e più debiti. Sei parole che spiegano in sintesi il flop del calcio, come descritto in un analitico rapporto curato dalla PriceWaterhouse e dall’Arel, in uno studio congiunto insieme alla Federcalcio. Il «Report Calcio 2012» dice che il buco prodotto dal calcio professionistico italiano si sta allargando, nell’ultima stagione sportiva, secondo i bilanci al 30 giugno 2011, la perdita netta aggregata delle squadre di serie A, serie B e della Pro di prima e seconda divisione è stata di 428 milioni di euro, in aumento di quasi 81 milioni (+23,2%) rispetto alla stagione precedente. Un dato preoccupante, perché la perdita nella stagione precedente era rimasta pressoché stabile, solo sette milioni analisi di Gianni Dragoni. Le avvisaglie della crisi si vedono nel calo dei ricavi della serie A, il valore della produzione è diminuito del 3,2% rispetto all’anno precedente. E in questi ricavi ci sono anche le plusvalenze da cessione calciatori: lo spaccato del giro d’affari mostra che i «ricavi di vendita» della serie A sono pari a 1.674 milioni (40 milioni meno del 2010), mentre i «ricavi da plusvalenze» sono pari a 357 milioni (26 milioni in meno dell’anno precedente). L’altro elemento di spicco evidenziato dallo studio è l’aumento dell’indebitamento della serie A, salito del 14% a 2.659 milioni di euro. Ma i debiti finanziari, verso le banche o altri finanziatori, per esempio per leasing o cessione di crediti, si sono impennati del 50%, da 619 a 928 milioni. Secondo lo studio «il valore patrimoniale della serie A al termine dell’ultima stagione sportiva è pari a 3.088 milioni, in aumento dell’1,7% rispetto alla stagione sportiva precedente». In questo importo è incluso il valore dei diritti pluriennali sui calciatori, cioè il cartellino dei giocatori, a volte iscritto a valori gonfiati o irrealistici, perché frutto di scambi o comproprietà a prezzi “dopati”. Il patrimonio netto delle venti squadre di serie A è molto più basso, è crollato ad appena 150 milioni al 30 giugno scorso, dai 354 milioni del 2010 e 385 milioni del 2009. Questo significa che, con la crisi, gli azionisti che sperperano il denaro comprando calciatori e strapagandoli (il costo del lavoro in serie A è stato di 1.159 milioni, lo 0,6% in meno dell’anno precedente; nell’aggregato di serie B e Lega Pro è diminuito di dieci milioni a 1.450 milioni), mettono sempre meno capitale nei loro club e corrono a chiedere soldi in prestito alle banche. Ma quanto potrà durare?
Il Sole 24 Ore

Per Corederoma
Paolo Nasuto