Lazio, 20 mila euro per i buu razzisti Dal pugno di ferro alla gommapiuma
Categorie FaceBookScritto da Paolo Nasutomartedì, 6 Marzo alle ore 02:45
Eppure sono passati pochi mesi da quando l’ex ministro Maroni e il presidente della Federcalcio, Abete, invocavano misure drastiche contro i razzisti seguendo la formula dell’ex sindaco di New York, Giuliani, contro le «bande» della città. Giuliani passò ai fatti. Da noi ci si è fermati a parole e multe. Del resto ci hanno insegnato che pagando un po’ di più in Italia si cancella tutto, persino la perdita dei punti sulla patente se attraversi l’incrocio con il rosso.
L’episodio dell’Olimpico romano rientra nell’ipotesi che configura la sospensione della partita e, come estrema conseguenza, l’assegnazione della sconfitta a tavolino per la squadra i cui tifosi hanno mantenuto il comportamento razzista. I «buu» erano nitidi ogni volta che Juan toccava il pallone e c’era tutta una curva dietro a quei cori. Non si poteva far finta di niente: infatti il brasiliano della Roma li ha sentiti e ha portato l’indice al naso, per dire di star zitti. In campo se ne sono accorti i giocatori, l’arbitro Bergonzi, sicuramente il responsabile dell’ordine pubblico. I calciatori almeno hanno avuto gesti di solidarieta. Gli altri hanno soltanto minacciato la sospensione della partita ma non se la sono sentita di attuarla. La tolleranza per gli intolleranti. Altro che lo “zero” annunciato per arginare un fenomeno che prospera come se niente fosse.
Il razzismo degli stadi non conosce la crisi. Basta scorrere settimanalmente le sanzioni del Giudice Sportivo. La Juve ha già pagato nella stagione in corso 4 multe da 10 mila euro ciascuna. L’Inter un mese e mezzo fa è stata condannata a 15 mila euro per i cori «non siamo napoletani» durante una partita con il Genoa. A inizio febbraio il Milan è stato multato per lo striscione «Napoli colera» e al Napoli hanno rifilato la stessa sanzione per gli insulti a un avversario di colore. La Lazio è recidiva, per quanto a Roma come in altre piazze, chi deve segnalare gli episodi sembri più distratto dei colleghi di Torino o Milano.
Non c’è limite di categoria. A Verona e Padova hanno quasi l’abbonamento, il Prato è stato punito per la discriminazione contro il Trapani, il Fano per una partita con l’Aprilia, al Foggia è successo l’anno scorso contro l’Atletico Roma. Un sito maceratese riportava poche settimane fa le multe per razzismo ai club della zona: persino il Colbuccaro di 3^ categoria s’è preso 750 euro.
«Se dovessero sospendere le partite ogni volta che si alza un coro non si giocherebbe più» ha detto Luis Enrique. Magari provandoci si potrebbe vedere l’effetto che fa: invece resta negli annali come un fatto unico la chiusura, due anni fa, di una curva juventina per i cori contro Balotelli. Se non c’è un modo per rimediare al razzisnmo, chi dovrebbe occuparsene almeno lo ammetta senza nascondersi dietro l’ipocrisia di annunciare il pugno di ferro quando ha un guanto di gommapiuma e si adatta volentieri a fare cassa.
[Fonte: Sportpeople]
Tra la tanta carne al fuoco del derby e del lunedì, ci siamo lasciati indietro la notizia dei cori razzisti dei laziali all’indirizzo di Juan. A parte i toni da giustizialista dell’articolista, non possiamo aggiungere troppo non essendo stati presenti al fatto specifico, possiamo invece esprimerci in merito a qualche partita citata come esempio del razzismo imperante sui campi di calcio, come Foggia-Atletico Roma dello scorso campionato: noi c’eravamo e, non per sottovalutare il fenomeno razzista, ma non abbiamo sentito alcun “coro” o altra forma di insulti collettivi o di massa. Bisogna anche saper discernere e valutare con scrupolo le notizie, non tacciare intere tifoserie o addirittura città per via di qualche idiota isolato diventa che, alla fin fine, non è altro che una pedina di un gioco strumentale al rimpinguamento delle casse della Lega Calcio attraverso il sistema delle multe, specie ora che non si possono più refertare all’uopo fumogeni e torce. Meno ipocrisia e un po’ più di conoscenza reale del fenomeno servirebbe ovunque.