venerdì, Luglio 04, 2025 Anno XXI


Dopo i recenti fatti di sangue che hanno sconvolto proprio due incontri di calcio, Der Spiegel ha intervistato alcuni di loro e ne ha raccolto le testimonianze.UNITI – Ne esce l’immagine di un gruppo di giovani molto coeso, che assomiglia a un gruppo di commilitoni reduce da mille battaglie. E se non sono state mille poco ci manca, perché nell’ultimo anno la loro esperienza di piazza, maturata confrontando tifosi avversari e forze dell’ordine, è stata messa a dura prova, spesso per intere giornate di seguito. I dintorni di piazza Tahrir per questi ragazzi sono marcati dai ricordi di cariche, attacchi e fughe, morti, ferimenti e lunghi confronti in mezzo a nuvole di lacrimogeni e pietre che volano. Normale che in una situazione del genere si siano rinsaldati ancora di più i legami di gruppo e che oggi gli ancora sani accompagnino alla partita il ompagno che ha perso la vista negli scontri o cerchino di star vicino alle famiglie dei caduti.

PRIMA – Prima dello scoppio della rivoluzione erano ragazzi come altri, principlamente interessati a divertirsi e a fare il tifo per la loro squadra, ma poi l’irruzione della storia, quella vera, nelle loro vite li ha cambiati. La tragedia della partita a Port Said, poi è destinata a segnarli al lungo, quelle decine di morti senza ancora un perché, il massacro dei tifosi dell’Al-Ahly sotto gli occhi delle forze di sicurezza resterà a lungo uno dei peggiori ricordi della loro vita. L’immagine di un attacco a tradimento e di un’infamia che probabilmente non perdoneranno mai.

CHI SONO – La composizione sociale ed anagrafica degli ultras egiziani è simile a quella di gruppi analoghi nel resto del mondo ed è stato l’irrompere della storia che li ha trasformati in eroi di una rivoluzione ancora in corso e dagli esiti incerti. E quindi in bersagli e nemici di molti, soprattutto di quelli che tra il Consiglio Militare e la polizia hanno fatto da can da guardia del regime e ora ostacolano l’evoluzione in senso democratico.

LA LOTTA CONTINUA – Solo una parte dei tifosi, il gruppo dei Red Devils, già sotto Mubarak si era caratterizzata per la sua ostilità al regime, definendosi “l’unica genuina opposizione giovanile alla dittatura di Mubarak” e che esplicitavano questa opposizione battendosi con la polizia in occasione dei match di calcio, sono poi diventati soldati a tempo pieno della rivoluzione, risultando determinanti per la tenuta di piazza Tahrir, mai abbandonata neppure quando il regime attaccò con cavalli e cammelli. Una maturazione che li ha portati a siglare tregue con le tifoserie avversarie “in nome dell’interesse dell’Egitto e che li spinge ancora oggi a ischiare la propria incolumità in piazza, con l’energia propria della giovane età e la determinazione di chi combatte in nome di atroi ingiustizie già provate sulla propria pelle.

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Per Corederoma
Paolo Nasuto