Categorie FaceBookScritto da Paolo Nasutomercoledì, 4 Gennaio alle ore 11:22
In questi giorni, dopo l’esplosione dell’ennesimo scandalo, ho letto e sentito gli sfoghi di tanta gente indignata, delusa o addirittura schifata da questo mondo del calcio sempre più lontano alla gente e a quell’ambiente in cui ci sentivamo tutti un po’ parte di una sorta di grande famiglia. Ho letto di gente che si sente tradita per l’ennesima volta, di gente che insulta i giocatori o i dirigenti che con il loro modo di fare hanno contribuito in modo determinante nel trasformare i calciatori di oggi in tanti piccoli miliardari che vivono lontano dalla realtà del paese e dei problemi quotidiani della gente e quindi dei tifosi, di coloro che sono i loro veri datori di lavoro.
Tutto giusto, tutto legittimo, ma queste cose le ho viste e le ho sentite tante volte in questi anni, forse addirittura troppe per non considerare quest’ondata di indignazione stucchevole, quasi fastidiosa. Perché? Per il semplice motivo, che come riprende a rotolare un pallone, poi, tutti gli indignati si incollano al televisore o si ripresentano allo stadio e al primo gol o alla prima vittoria dimenticano tutto. Il calcio in Italia oramai è diventato una sorta di droga, al punto che nel nome del calcio e del Dio pallone si accettano o si lasciano passare cose che nella vita di tutti i giorni in pochi sarebbero disposti ad accettare. Ho visto fare scioperi generali per molto meno di quello che è appena successo e che sta succedendo da anni nel mondo del calcio. Pensate solo al fatto se per girare liberi da una città all’altra del paese vi obbligassero a fare una “tessera del viaggiatore”, legata ad un circuito bancario e in gradi di segnalare a qualcuno ogni vostro dato personale e addirittura ogni vostro spostamento: ovvero, la negazione dei più elementari diritti di libera circolazione e di libertà personale. Succederebbe il finimondo. Da anni, invece, centinaia di migliaia di tifosi di tutta Italia si fanno schedare senza alzare la voce tramite la tessera del tifoso. Magari la considerano una seccatura, ma quando gli fai notare che si tratta di una vera e propria schedatura, ti rispondono alzando le spalle: “Vabbé, ma io mica vado allo stadio a fare casino, non sono un teppista, quindi non ho nulla di cui dovermi preoccupare”. Come se il problema fosse quello. Lo accettano per il calcio, non lo accetterebbero mai per altro.
Perché faccio questo discorso? Perché da sempre il tifoso di calcio ha in mano un’arma determinante per cambiare le cose, ma ottenebrato dagli effetti della “droga pallonara”, non l’ha mai usato veramente. Basterebbe fermarsi tutti per una domenica, rinunciare alla droga settimanale e lasciare gli stadi vuoti: tutti gli stadi. Si sono fermati i calciatori, i presidenti litigano da anni tra loro e provocano disastri (quante società sono sparite negli ultimi anni, senza nessun rispetto per chi le aveva sostenute per anni e all’improvviso si è trovato senza una squadra e un’identità, magari costretto a ripartire dalla C2 o dai Dilettanti?), la politica ha trasformato gli stadi in dei veri e propri lager (o ghetti), ma in nome del “Dio pallone” i tifosi hanno sempre accettato tutto, non si sono mai ribellati o fermati.
“Non me la sento di scioperare e di lasciare la squadra sola. Vabbé, ma se resto a casa per una settimana, a loro che gliene fraga? Non ce la faccio a stare a casa la domenica senza la mia squadra. ….”,e così via. Quante volte le avete sentite queste frasi o queste scuse? Io tante, forse troppe volte. Le ho sentite e risentite quando si discuteva se lasciare o no vuoto l’Olimpico in segno di protesta contro chi gestisce la società e mi sono chiesto: ma mai è possibile non capire la potenza dell’arma dello sciopero e non provare ad usarla almeno una volta per provare a lanciare un segnale veramente forte a chi gestisce questo mondo del calcio e lo sta portando verso il disastro? Provate ad immaginare un week-end in cui nessuno si presenta allo stadio, lasciando i calciatori a giocare in teatri deserti in cui le uniche voci sono quelle dei giocatori che rimbombano sugli spalti vuoti. Provate ad immaginare una week-end in cui nessuno accende il televisore per vedere una partita di Serie A, facendo crollare gli indici d’ascolto. Provate ad immaginare una domenica di sciopero generale non contro lo sport in generale, ma solo contro il calcio, magari riempiendo palazzetti dello sport dove si giocano sport alternativi come il basket o la pallavolo, oppure riempiendo gli spalti dei piccoli campi di periferia dove giocano i ragazzi o i Dilettanti.
L’impatto di un simile sciopero sarebbe devastante, perché provocherebbe l’immediata reazione da parte delle televisioni e degli sponsor. Il gesto avrebbe una portata planetaria, perché mai, in nessun paese e in nessuno sport, fino ad oggi a fermarsi sono stati i tifosi. Hanno scioperato i giocatori o i proprietari dei club, ma mai quelli che comprando i biglietti o versando i soldi alle televisioni mandano avanti l’industria sportiva. Rendetevi conto che senza voi tifosi, non ci sarebbe business e quindi non ci sarebbe sport. La differenza tra il calcio e tutti gli altri sport in Italia, siete proprio voi tifosi. Senza di voi e i soldi che portate, il calcio in Italia sarebbe come la pallamano e i calciatori guadagnerebbero come un giocatore di pallamano, ovvero come dei dilettanti che al massimo ricevono dei rimborsi spese, invece che ingaggi con cui possono sistemare le loro famiglie per svariate generazioni.
Ma è utopia, perché non succederà mai, perché oramai l’assuefazione dei tifosi alla droga calcistica è totale. E dire che basterebbe pochissimo, basterebbe un passaparola e una presa di coscienza del potere che da sempre hanno in mano i tifosi, che invece che comportarsi come i veri padroni di questa industria si comportano da sempre come un gregge che va verso l’ovile, incurante delle gabbie e degli ostacoli che trova sul percorso.
Io da tempo ho staccato la spina, da anni mi sono piano-piano disintossicato e mi sono avvicinato ad altri sport nei quali i giocatori non si comportano come star, nei quali a fine partita decine di ragazzini entrano in campo e i giocatori si fermano, firmano autografi e si fanno tranquillamente fotografare con i loro piccoli tifosi. Da anni vedo la partita se ne ho voglia, altrimenti neanche la sento per radio. E siamo in tanti ad aver fatto questa scelta, lo dimostrano gli stadi sempre più vuoti. Farlo almeno per una sola domenica, non dovrebbe essere difficile. Magari non cambierà nulla, ma almeno si potrebbe mandare un segnale molto più forte degli insulti lanciati sui Forum o sui social network ai calciatori e a chi ha ridotto il calcio italiano in questo stato pietoso. E dovrebbero farlo tutti, non solo i tifosi delle squadre più o meno coinvolte in quest’ultimo scandalo, perché quello che è emerso e sta emergendo dall’inchiesta della Procura di Cremona è solo la punta dell’iceberg di un ambiente oramai marcio nelle fondamenta e in cui nessun tifoso è immune dal rischio di presa per i fondelli, più o meno palese.