lunedì, Maggio 05, 2025 Anno XXI


Assenti Totti e De Rossi. Verdone: «Strano ci sia io e loro no»

di Ugo Trani

ROMA – «Ago». Lo chiama così nel documentario il figlio Luca. Non papà, ma Ago. Come la Sud che, ancora oggi, canta «Ago-Ago-Ago, Agostino gol». Luca adesso ha trent’anni e una laurea in Giurisprudenza. Il padre, Agostino Di Bartolomei, capitano della Roma dello scudetto dell’83, il secondo della storia del club giallorosso e il più atteso dopo quello lontanissimo del ’42, si sparò un colpo al cuore sul terrazzo della sua casa di San Marco di Castellabate. Aveva trentanove anni. A trentacinque, festeggiando la promozione della Salernitana in serie B con il pari casalingo contro il Taranto, l’addio al calcio.

Esauriti da tempo gli 800 posti della Sala Petrassi che, ieri pomeriggio al Festival Internazionale del Film di Roma, ha ospitato la proiezione del documentario 11 metri del regista Francesco Del Grosso sulla storia di Di Bartolomei. Intellettuali, attori, tifosi, amici e politici, ma non i campioni di oggi: la memoria e il ricordo del campione che unisce i presenti in un applauso per il gol di Pruzzo, il centravanti della Roma di Ago, nell’amara finale di Coppa dei Campioni. Era il 30 maggio dell’84. Lo stesso giorno, dieci anni dopo, Agostino si tolse la vita. E nessuno ancora oggi sa perché. Lo dice chiaramente nel documentario anche Franco Tancredi, il portiere giallorosso di quel periodo e oggi collaboratore di Luis Enrique. Nemmeno il film può dare risposte. A parte quella misteriosa telefonata, sulla quale nessuno ha indagato, ricevuta da Di Bartolomei quella tragica mattina.

Luca, nel documentario, ricorda di essere stato svegliato, come ogni giorno, dal padre. Con sofferenza. «Mi disse: non andare a scuola, vieni con me a Salerno. Vado, vado a scuola, gli risposi». E la mamma Marisa ancora sente l’urlo di Luca al ritorno a casa. «Forte», l’impatto della proiezione sul ragazzo. E su Gianmarco Rinaldi, l’altro figlio di Marisa Di Bartolomei al quale il campione ha fatto da padre. Anche Gianmarco si è commosso. Ieri sera e nel documentario. Per tanti non è casuale quel giorno, il 30 maggio del ’94, dieci anni dopo la sconfitta ai rigori contro il Liverpool. Nella sua agenda, in quella data, la foto della Sud e il santino di Padre Pio.

Sul red carpet sfilano gli ex compagni di Di Bartolomei: Roberto Pruzzo, Ubaldo Righetti e Odoacre Chierico. Lo storico massaggiatore Giorgio Rossi che ha appena festeggiato gli ottantuno anni, cinquantaquattro con addosso la tuta della Roma. Luciano Tessari, vice di Nils Liedholm anche nell’anno del secondo scudetto. Tra gli invitati i giallorossi da sempre Massimo D’Alema e Raffaele Ranucci, Benedetta Navarra che è la quota rosa nel nuovo cda a stelle&strisce, Antonello Venditti che scrisse Tradimento e Perdono, canzone sul suicidio del suo capitano, e Carlo Verdone, festeggiato quanto Pruzzo che resterà per sempre solo il Bomber.

Il passato, non il presente. La Roma di oggi è assente o quasi. Nella Sala Petrassi entrano il dg Franco Baldini, il ds Walter Sabatini, i calciatori Simone Perrotta, Federico Viviani, Gianluca Caprari e Valerio Verre, il consulente per la comunicazione Daniele Lo Monaco. Franco Tancredi rimane a Trigoria a disposizione di Luis Enrique. I capitani Francesco Totti e Daniele De Rossi non partecipano. Verdone lo fa notare: «Peccato, potevano venire. Ci sono io e non loro».

Righetti ricorda i consigli di Ago, Chierico e Rossi la sua passione per la pistola che portava dentro il famoso borsello per il quale «noi lo abbiamo sempre preso in giro». Pruzzo, e non solo lui, per la professionalità. Marisa rivive il dopo: «Per i miei figlio ho dovuto fare il clown. Per farli ridere con i ricordi del padre». Ma la signora ha un’alba più bella da raccontare. «Io e lui, dopo il concerto di Venditti al Circo Massimo per lo scudetto, alle cinque di mattina in macchina a goderci Roma». Che un anno dopo lasciò, dopo la coppa persa e con Liedholm, per andare al Milan. «Mi hanno tolto la Roma, ma non i miei tifosi»: è il titolo dell’intervista al Messaggero, inserita nel documentario, per salutare la gente giallorossa. Quella che mai cancellerà il murales davanti al campo dell’Omi, dove iniziò la carriera, nella sua Tormarancia.