lunedì, Maggio 05, 2025 Anno XXI


“Divide et Impera”. Dividi e Domina
legionariNon possiamo far a meno di considerare che l’espansione e la gloria dell’Impero Romano passa, oltre che dalla grandezza di chi si alternò al potere, anche dall’esercito le cui tecniche di guerriglia erano genialmente apparecchiate e studiate.
Era l’esercito che portava a casa le vittorie e sempre l’esercito che scendeva in campo nelle leggendarie e storiche battaglie di Roma per Roma. “L’Armata” romana ancora oggi è oggetto di studi e di interesse, perché molteplici fattori la rendono diversa da altre compagini; I romani sconfissero i Cartaginesi pur non essendo gente marinaia, annullarono gli elefanti di Pirro, e piegarono popoli di grande valore e forza. Cosa avevano dunque di diverso questi uomini? Intanto la formazione delle Legioni affonda le sue radici accanto a quelle della Fondazione dell’Urbe: infatti fu Romolo a creare la prima compagine, ispirandosi alle falangi elleniche.
Il Reclutamento avvenne in modi e tempi diversi a seconda del periodo storico, ma alla base rimaneva sempre un unico leitmotiv che era la disciplina ed il rigore, nonché “l’attaccamento” alla patria. Inoltre i giovani romani erano “chiamati” alle armi fin da giovanissimi, anche perché la militanza avrebbe permesso loro l’accesso alle cariche politiche. Gravissime erano le sanzioni per i disertori o per chi indietreggiava davanti al nemico, e molto duro e lungo era il periodo di addestramento esercitato anche sul campo.legionari Alla fine del I sec A.C., con la riforma di Augusto, la Legione subisce una mutazione ed un ammodernamento che la porterà ad essere la moltitudine di “guerrieri” più preparati ed organizzati, sotto ogni punto di vista. Il Comando non subì modifiche rispetto all’epoca Cesariana, ma vennero potenziate tutte le righe e vennero introdotte nuove figure, tra cui La Guardia Pretoriana. La grandezza di Roma non si vedeva solo nel risultato della battaglia, ma anche nella maestosità che regalavano le Legioni nella veduta di insieme con gli armamenti, i vessilli e con le splendide armature migliorate nel corso degli anni. Ciò di cui vogliamo parlare, però, non riguarda espressamente la composizione dell’esercito, in quanto argomento molto vasto, che abbisogna di particolare attenzione e non di sintesi. La figura degna di ogni attenzione è il condottiero, il Generale. Perché è specialmente attraverso la sua guida, il suo “conducere”, che si arrivava alla vittoria. Il carisma e la forza di questo antico Duce non consisteva solo nella forza fisica, ma specialmente nella sua indole indomita e fiera, votata alla fratellanza verso i suoi soldati, quasi in un amore filiale: li incitava, si occupava del loro stato d’animo e discettava con loro nell’accampamento che era organizzato come una vera e propria “cittadina”. Il Cursus Honorem nel periodo repubblicano e nei primi anni dell’Impero formava, in un percorso preparatorio, gli aspiranti alla carica che passavano anni nella scalata alla gerarchia. Nell’era Imperiale l’ultimo vero grande generale fu Cesare e, prima di lui, possiamo ricordare il valoroso Flavio Ezio, che piegò l’unno Attila. Dopo, la figura del condottiero fu più che altro politica e meno di ispirazione bellica. Ma rimane fermo il ricordo dei generali pre-impero, quando Roma si forgiava con il sangue, con la tattica, con i nervi saldi.Pretoriani Tanta era l’importanza del generale che, vagliata la vittoria ed i modi della conquista, a questi, al ritorno a Roma, veniva tributato il Trionfo “assegnato” dal senato.
Il Comandante, di ritorno dalla guerra, rientrava in città dalla porta Trionfale, partendo da Campo Marzio, e percorreva la Via Sacra su un cocchio trainato da quattro cavalli bianchi. Maestoso e vestito tutto di porpora, con il capo cinto da alloro dorato e con il volto dipinto di rosso. Attorniato dai suoi ufficiali saluta, alzando una mano, il popolo, mentre con l’altra stringe lo scettro. Ai lati della strada, in fila, i soldati dell’esercito gli rivolgono in segno di tradizione complimenti ed epiteti molto “coloriti” nel vernacolo dell’epoca, che ancora oggi rimane nel goliardico “romanesco”.
Sul cocchio, insieme a lui, la presenza discreta di uno schiavo che gli sussurrava silenzioso “Hominem te esse memento” ovvero, Ricordati di Essere un Uomo e “Respice Post Te”… guardati attorno… Questo perché era tale l’idolatria rivolta al generale che quasi gli si voleva impedire di bearsi dei suoi fasti. La cerimonia lunghissima, che coinvolgeva il popolo anche con dei doni, si concludeva con un sacrificio di tori a Giove.
Ma questi fasti avevano ragione d’essere, perché per ricevere il Trionfo non bastava aver vinto una battaglia, non bastava aver sconfitto qualche nemico, ma si doveva essere imbattuti, si doveva riportare l’esercito salvo a casa, si dovevano ampliare i confini di Roma. La salita sul carro dei vincitori, dunque, passava per una strada dura, faticosa.Il Trionfo di Cesare (Mantegna) Una strada che pochi uomini erano capaci di percorrere.
Non ci importa in questo ricordo che il nostro generale abbia il volto di Ezio o di Cesare, poiché di tanti condottieri si è fregiata Roma. Non ci importa quanti uomini uccise, né quali furono i moventi che alimentarono la folta schiera di nemici.
Poniamo attenzione su questo grande uomo, temuto ma amato. Mai domo alla notte, mai disgiunto dal suo gladio. Un condottiero sempre presente anche quando sembra alienarsi in altro; una scure anche capace di deviare il colpo preciso, nell’ultimo istante, e cambiare così direzioni e sorti della battaglia. Sveglio ai primi bagliori dell’alba e implacabile nei momenti importanti. Concentrato, impassibile, attento ed empatico e in comunione perfetta con ogni cosa che lo circonda. Solo suo è il campo di battaglia, e anche le foglie degli alberi sembrano temerlo.
Dietro di lui, in attesa del suo segnale, l’esercito, e davanti a lui, il nemico. L’ennesimo.
Ora è il momento della guerra: anima e cuore, braccia e concentrazione declinati ai massimi livelli. Un predatore, che punta diritto verso la meta.
E dopo, solo dopo, ci sarò tempo per il Trionfo. Non prima.