venerdì, Maggio 16, 2025 Anno XXI


Mastro Titta al lavoroLa sua biografia romanzata colloca nel giorno 22 del mese di marzo dell’A.D 1796 la sua prima esecuzione. In realtà, Giovanni Battista Bugatti eseguì il suo primo mandato il 28 marzo e non il 22. Mastro Titta, (nome che venne poi dato anche ai boia successivi) fu esecutore delle pene di morte emanate dalla Roma papalina per conto, conseguenzialmente, dello Stato Pontificio. Nella capitale e su tutti i possedimenti pontifici.
Di questo personaggio esclusivamente romano sappiamo molto: sia dalle cronache, sia dai suoi meticolosi appunti sulle esecuzioni, sia da alcuni noti personaggi che lo incrociarono.
Nella vita di tutti i giorni dimorava sulla destra del Tevere e, quando non svolgeva gli “incarichi” papali, si dedicava alla vendita di ombrelli nel Rione Borgo, dove aveva anche casa. Vista la natura del suo lavoro, non era naturalmente l’idolo delle folle, ergo non era molto amato dai suoi concittadini. La sua “fama” lo teneva relegato sempre a casa, tranne quando si apprestava a compiere le sue funzioni: in quel caso, doveva attraversare Ponte Sant’Angelo per raggiungere Piazza Del Popolo, Piazza del Velabro o Campo De’ Fiori – luoghi centrali e spaziosi – che potevan raccogliere centinaia di “spettatori”, visto che le esecuzioni erano dei veri e propri “spettacoli” che servivano anche e specialmente come monito.Ponte Sant'Angelo Dal suo “passaggio” su Ponte Sant’Angelo nacque anche il modo di dire “ Mastro Titta passa ponte” indicando, nel senso della frase, che qualcuno quel giorno avrebbe perso la testa. Nel 1813 Lord Byron assistette ad una delle esecuzioni del Boia, rimanendone turbato e sconvolto; e nel 1865 Charles Dickens compie la medesima esperienza scrivendone così: “Uno spettacolo brutto, sudicio, trascurato, disgustoso; che altro non significava se non un macello, all’infuori del momentaneo interesse per l’unico disgraziato attore”.
Ciò che vogliamo sottolineare non sono i soliti aspetti per cui Mastro Titta è ricordato dalla storia. Né i giudizi “impressionati” di damerini anglosassoni cultori di arti delicate. Dalla lettura dei suoi taccuini, dove annotò le 516 esecuzioni eseguite nell’arco di 67 anni, emergono particolari non inquietanti, ma “singolari”. Il Boia eseguiva il suo lavoro con una meticolosità e una ritualità da “sacerdote”. Un vero e proprio officiante della liturgia del dolore, portata alla folla, come momento di redenzione e esempio. Nella notte si avviava… “passava Ponte”… arrivava sul luogo stabilito (a volte anche fuori Roma) e preparava il reo alla prossima fine. Lo ripuliva e gli dava candide e pulite vesti da indossare. Da lì a poco giungeva il balio* che, nominando per nome e cognome il reo, gli indirizzava un infraintendibile “Io Ti Cito a Morte per Domattina”. Due ora prima dell’esecuzione, giungevano al malcapitato i conforti religiosi che segnavano paradossalmente l’inizio verso la fine. Presto sarebbe giunto il momento dell’’esecuzione: il patibolo pronto come un gran teatro. Le varie confraternite poste secondo l’ordine di importanza… i confratelli di saio vestiti e il volto coperto dal cappuccio rituale, i carnefici a torace scoperto.
L’ora è giunta.
Mantello di Mastro TittaMastro Titta, con passo altero e grave, arriva sulla scena recando i suoi “arnesi” con sé. Porge una moneta** al condannato e gli offre del tabacco. Ha indossato la sua Tunica Scarlatta come sempre e, implacabile, ha eseguito la volontà del Papa-Re. Per 516 volte. In modi diversi.
Impiccando, mazzolando, decapitando, facendo a pezzi.
A seconda della ferocia dell’omicidio commesso, mostrava i “pezzi” dei condannati, sapientemente esposti per instillare rigore e invito a non macchiarsi degli stessi reati.
“Ho sempre creduto che chi pecca deve espiare; e mi è sempre sembrato conforme ai dettami della ragione ed ai criteri della giustizia che chi uccide debba essere ucciso.”

Questo scriveva nelle sue note, discutibili a volte. Noi non siamo qui a discutere e a giudicare, ma a narrare di un uomo che portava con sé la falce della fredda signora e che ne celebrava l’atto ultimo con onore e fierezza.
Quale parte del suo animo guidava la mano nel colpo preciso?
Quali interrogativi lo assalivano sulla strada del ritorno?
Custodita nelle sale del Museo Criminologico a Roma vi è la sua Tunica Scarlatta…
Guardandola ci è sembrato di far un salto nel tempo… e sentire il salmodiare dei frati, il brusio di stupore, il silenzio ferale e di seguito assistere all’ultimo momento di vita.
Non abbiamo avuto risposta ai nostri quesiti su Mastro Titta.
Ma probabilmente non ne aveva neanche Lui.
La logica efferata della scure falcidiava ogni fremito di coscienza.


*balio: aiutante del cancelliere papale.
**moneta: veniva data al condannato per pagarsi una messa.