lunedì, Aprile 29, 2024 Anno XXI


da repubblica.it

E’ un racconto sulle sue paure e sui suoi desideri. Il capitano della Roma si racconta: “Andrò ai mondiali se il gruppo mi vorrà. Giocherò altri 5 anni”

Francesco TottiFRANCESCO Totti deve aver capito che il miglior modo di prevedere il futuro è quello di costruirlo. Sarà per questa ragione che qui a Trigoria ha un ufficio nello stesso corridoio dei manager della società. Il numero 17. È l´unico giocatore della Roma a possederlo.

Immagino sia il solo calciatore al mondo ancora in attività che ha il suo nome su una targhetta in ottone avvitata a una porta. Nell´ufficio ci sono una scrivania, un computer, un televisore, le sue fotografie e le maglie scambiate con gli avversari appese alle pareti. Sulla soglia penzolano dal muro disegni di bambini, lettere di ragazzine, dediche come questa: “Al nostro unico capitano, come esempio da seguire, i pulcini del ‘96”. Ci sono giorni, racconta, in cui riceve dalle venti alle quaranta persone.

Altri in cui fugge attraverso scale a lui solo conosciute per trovare un po´ di pace. Francesco Totti, si sa, è un fenomeno. Si sono studiati i suoi piedi. Mai il resto. L´ha sempre impedito, a costo di apparire vuoto. Eppure ha un´intelligenza che è un misto tra quella selvaggia del ragazzo allevato nella foresta dai lupi e quella degli elettricisti di Paolo Conte. La luce dell´artigiano geniale e furbo. Inoltre ti fa ridere, che non è poco. Ma tutto questo arriva dopo quasi due ore di conversazione. All´inizio c´è un giovane uomo in scarpe da ginnastica e braghette corte, con le ginocchia enormi per i muscoli e solcate di cicatrici arrossate, con una fede e una fedina d´oro bianco all´anulare sinistro. Un ragazzone che sembra avere poco interesse all´impegno e molta fretta di andarsene.

Sono stato avvertito: parlare con Totti di qualcosa che non sia il calcio, mi è stato detto, è quasi impossibile. Si esprimerà a monosillabi. Sono prevenuto e preferisco dirglielo subito.
«Si vede che i suoi informatori credono di conoscermi bene… Non sono un filosofo. Forse sono ignorante, ma non stupido».

Lei parla pochissimo, tranne che nelle pubblicità. Perché?
«Non riesco a esternare i miei sentimenti con chi non conosco, a chi non sta nei miei affetti. Anzi, non mi interessa proprio farlo».
E´ ciò che si chiama pudore?
«Pudore? Forse sì. Io conosco la parola carattere. Lo chiamo così».
Me lo descriva.
«Sono molto fisico, romantico. Mi piace toccare le persone, abbracciare gli amici, mettergli una mano sulle spalle e stringere. So quali sono le cose importanti, a loro cerco di dare tutto me stesso. Lo faccio con i miei figli, con Ilary. Pochi altri».
E con i giornali come va?
«Dipende. Ad ascoltare voi, dovrei fare tre interviste la settimana. E mi chiedono sempre le stesse cose. Non mi va più. Lo dico. Dico sempre quello che penso. Senza peli sulla lingua, ho la coscienza a posto».
Quanti libri ha letto fin qui?
«Uno solo. Il Piccolo Principe. Ero poco più che un bambino. Mi è piaciuto. Ogni tanto ci riprovo con qualcos´altro, mi metto lì, leggo le prime pagine, poi mi stanco. Forse non li so scegliere, i libri».
Legge fiabe a Chanel e Christian per farli addormentare?
«Non ancora, sono troppo piccoli. Oddio, forse lo fa Ilary quando non ci sono. Vorrà dire che io lo farò più avanti».
Lei dorme bene?
«Sì, e faccio molti sogni. Quando mi sveglio non ne ricordo uno».
Mai una paura?
«Due. Perdere la mia famiglia e morire».
La morte è la sola cosa certa della vita.
«Va beh, io spero che ci sia qualcosa dopo la morte. Voglio fortemente un aldilà, con le stesse persone che sono con me adesso. Voglio incontrarle ancora. Ne parlo spesso, nessuno mi sa dare una risposta precisa. Qualcuno mi dice di sì, altri che non saremo più nulla. Lei che ne pensa?».
Non posso aiutarla in questo. Crede in Dio?
«Sì. Ho avuto molta fortuna, penso di doverla in parte, in gran parte, a qualcuno più grande di me. A dodici, tredici anni ero una mezza sega, un nanetto, mangiavo mangiavo e non mi irrobustivo mai, stavo sempre dai dottori, mi chiamavano Gnomo. Di colpo, sono cresciuto. Il destino, Dio credo. Sono stato chierichetto, prego ogni sera. Il padre nostro, l´ave maria».
Da Gnomo a er Pupone, il bamboccione perfetto.
«Sì, ma ora basta. Ora sono un uomo».
Le dà fastidio invecchiare?
«No. Mi immagino già con le carte, tra gli amici».
Quanto giocherà ancora in serie A?
«Cinque anni, se non mi spacco. Ne ho trentatré, non sono vecchio né finito. Voglio un altro scudetto qui».
Andrà ai mondiali in Sudafrica?
«Deciderò ad aprile. Se Lippi mi chiama, se sto bene e se il gruppo mi vorrà ci vado. Credo che ai giovani farebbe piacere. Con Lippi ho un rapporto che va oltre il calcio. Non dimenticherò mai quello che ha fatto per me in Germania. Non mi conosceva personalmente, ero sempre stato un suo nemico sul campo quando lui stava alla Juve, mi ha aspettato, mi ha dato fiducia. Non lo dimentico, proprio no».
Che farà dopo il pallone?
«Non l´allenatore. Non ne sono capace e sono troppo buono. Vorrei fare il dirigente. Alla Roma».
Roma, la Roma. Perché non si è mai mosso dalla culla?
«Amore e pigrizia. Sono molto pigro. Al Real Madrid o al Barcellona avrei vinto di più, ma sono felice di avere avuto una sola maglia. Ho vinto una scommessa con me stesso. Per i tifosi sono un fratello, per strada mi salutano, mi baciano, si inginocchiano. Pazzesco no? Esagerano, eppure mi piace. So distinguere tra chi mi cerca perché sono Totti e chi invece vuole semplicemente conoscere Francesco».
Nel calcio chi sono i suoi amici?
«Ho pochi veri amici in assoluto. Nell´ambiente De Rossi, Buffon, Gattuso, Di Vaio, Vito Scala naturalmente. Ho un buon rapporto con Del Piero, nonostante la rivalità sportiva».
Non più Cassano?
«Non più. Abbiamo fatto pace ma non ci sentiamo più. Peccato, era un ragazzo d´oro».
Che è successo tra voi?
«Ha fatto tutto lui, spesso Antonio va dove lo porta il vento».
Cassano ha scritto di essere stato con seicento donne. Le condivideva con lei?
«No. E le consiglio di dividere quel numero per dieci… Scherzo, lasciamo perdere».
Sa che si sussurra che sarebbe emerso il suo nome attorno al caso dell´ex presidente del Lazio Marrazzo? Alcune trans avrebbero detto ai magistrati che da via Gradoli ci passava anche Totti.
«Lo so, ci mancava pure questa. Sono tranquillo, ci metto tutt´e due le mani sul fuoco. Mai stato con una trans, in passato con qualche mignotta forse sì. Può succedere, no?».
Segue la politica?
«No, non mi interessa. Non ne parlo mai neppure con mia moglie».
Però lei va a votare. Se non sbaglio ha detto che l´ultima volta ha scelto Veltroni.
«Sì, ma solo perché è un amico. Però, è vero, ho sempre votato la sinistra».
A Hammamet è andato sulla tomba di Bettino Craxi. Ha firmato persino il registro dei visitatori. Lo ammirava?
«No, conosco a mala pena la sua vicenda. Eravamo là con la squadra. Ci sono andato per curiosità, come entrare in un museo. Le sembra strano? A me no».
Chi le ha insegnato di più nella vita e sul campo?
«La mia famiglia, poi Zeman e Mazzone. Sono stato bene con Capello e Spalletti, mi piaceva Prandelli anche se è rimasto con noi, solo un mese, sono stato malissimo con Carlos Bianchi. Ce l´aveva a morte con Roma e i romani, voleva mandarmi via. Sono ancora qui, per fortuna».
Quanto guadagna all´anno?
«Non so, devo pensarci su. Tra gli otto e i dieci milioni di euro, credo».
Che ne fa?
«Li metto in banca, investo, compro case soprattutto. Il mattone non si consuma mai. Faccio beneficenza, ma di questo non voglio parlare».
I calciatori guadagnano troppo?
«Tanto, non troppo. E´ tutto il mondo del pallone che è ricco. Si è cominciato con Lentini, poi con Vieri. Spetta alle società, se vogliono, cambiare strada. Non credo sia un processo facile».
I calciatori sono ancora stupidi, come si diceva un tempo?
«Siamo troppo al centro dell´attenzione e siamo molto soli, facciamo fatica a maturare. Ho conosciuto giornalisti stupidi, avvocati stupidi, dirigenti stupidi, commercianti stupidi. Ce n´è per tutte le categorie».
Quali sono i fuoriclasse del suo tempo?
«Ronaldo, il più grande. Poi Zidane, Messi, Kakà e Cristiano Ronaldo».
Non Totti?
«Lascio agli altri giudicare se sono un campione. Qualche numero c´è…».
Jorge Valdano ha scritto che più che per un gol o un assist si gode per un gesto con la palla. Il modo di sfiorarla, di colpirla, di sentirla un prolungamento di sé, del proprio corpo. Se è così anche per lei, mi dica che cosa le dà più piacere.
«Il lancio al volo con le spalle girate all´azione, immaginando il compagno senza vederlo. E il colpo di tacco».
Ho sempre pensato che lei non sia un “professionista” del calcio e neppure semplicemente un giocatore atipico, intendendo che non la vedo studiare gli avversari in cassetta, i portieri sui rigori, i moduli degli allenatori. Se le devo affibbiare un metodo le do quello della follia. E´ vero?
«Sono un istintivo, in campo faccio solo ciò che mi diverte. Sono un animale, non mi annoio mai. Gli infortuni, tuttavia, mi hanno insegnato e costretto a seguire alcune regole, se non l´avessi fatto non mi sarei ripreso».
Ha rimpianti?
«Sono stato alcune volte tradito, anche da famigliari. Il rimpianto è non essere riuscito a recuperare i rapporti perduti».
Rimorsi?
«Lo sputo a Poulsen in Portogallo. Non ci siamo mai spiegati».
Desideri?
«Voglio altri due figli. Ancora una coppia, un maschio e una femmina».
Se le mando un libro da leggere per muovere un po´ la classifica, lo accetta?
«Certo, basta che non sia troppo spesso».

Dario Cresto-Dina