domenica, Aprile 28, 2024 Anno XXI


Per capire chi è Giorgio Rossi, riportiamo un articolo apparso sul Corriere dello Sport qualche mese fa

Giorgio RossiGiorgio Rossi ha cominciato la cinquantatreesima stagione alla Roma. Ad ottobre compirà ottant’anni e non li dimostra. Il pensiero di andare in pensione non lo assale. La memoria è nitida, il massaggiatore più esperto del calcio italiano è un pozzo di aneddoti. Ci vorrebbe un libro per raccontarli.

«Ho cominciato nel ’57, alla Primavera l’allenatore era Guido Masetti».

Mezzo secolo di muscoli e medicine, ha regalato la sua vita alla Roma, con orgoglio e senza pentimenti. «Tornare qui dopo 35 anni è stata un’emozione incredibile. Rivedere queste montagne mi ha fatto andare indietro nel tempo. Molte persone non ci sono più, gli anni passano, molte cose sono cambiate. Qui venni la prima volta nel 1974 con Liedholm, il campo era in terra battuta al centro di Riscone, vicino c’era un torrente che era la disperazione dei magazzinieri Vagni e Timperi, che dovevano rincorrere i palloni che finivano dentro l’acqua. Se ne perdevano tre o quattro al giorno».

E’ cambiato tutto, anche il calcio. «Questo è un’altra cosa. Oggi è più fisico. Anche nel mio ambito siamo distanti anni luce, i presidi di pronto soccorso un tempo erano la borsa del ghiaccio e dell’acqua calda. Oggi si usano il laser e i computer, l’ipertermia e la ionoforesi. Quello che è rimasto uguale è il soccorso in campo». Ne sa qualcosa Rossi, che nel campionato 1989-90 salvò la vita a Lionello Manfredonia, in una fredda domenica di Bologna.

«Fui fortunato ad avere nella mia borsa le forbici di Hemark. Riuscii ad aprire la bocca di Lionello, che aveva i denti serrati. Senza quello strumento non ce l’avrei fatta. Poi la respirazione bocca a bocca e il massaggio cardiaco con il dottor Alicicco, è stato questione di attimi. Accaddero episodi simili anche con Nela, che in un Roma-Napoli prese una gomitata in fronte dal compagno di squadra Bonetti. Era svenuto anche Sebino e ci volle la respirazione bocca a bocca. Un’altra volta fu Rizzitelli ad aver bisogno di un pronto soccorso particolare. Massaggio cardiaco e rianimazione. Questi giocatori li sento ancora. Man­fredonia mi chiama per gli auguri. A Cagliari quando morì il povero Taccola non c’ero, ero ancora alla Primavera. Ricordo che ebbe uno shock anafilattico da antibiotici. Fu una storia triste».

Ma sono tanti i ricordi felici che Giorgio Rossi racconta con piacere. «Sono rimasto legato un po’ a tutti, in più di cinquant’anni nessuno mi ha deluso. In tanti mi chiamano ancora. Aldair, Giannini, Desideri, tutti quelli che ho visto crescere, passando con loro dal la Primavera alla prima squadra. Bruno Conti, il povero Agostino Di Bartolomei, Francesco Rocca. Anche Tempestilli mi è sempre stato vicino. Ai giocatori di oggi sono altrettanto affezionato. Da Totti a De Rossi a tutti gli altri. Ricordo con simpatia anche Cassano. Per svegliarlo la mattina era dura, ma mi rispettava e con me si comportava bene. E’ un ragazzo molto intelligente».

Si ritrovò alla Roma per caso, nel ’57. «Facevo il Vigile del Fuoco, ero infermiere e seguivo la Primavera nel tempo libero. Un giorno mi chiamò il presidente Evangelisti e mi chiese se potevo andare in ritiro con i ragazzi. A quei tempi la preparazione si faceva a Campobasso. Minaccioni si era infortunato e insieme a Ceretti andai a sostituirlo, c’era Pugliese allenatore. Si accorsero di me quando tentammo un soccorso per una fuga di gas, ma l’uomo che caricammo sull’ambulanza era già morto. In quella occasione Minaccioni mi chiese se potevo andare con la Primavera a Sanremo per il torneo Carlin’s Boys. Masetti mi portò al campo Roma, a via San nio. Oltre alla cassetta del pronto soccorso me ne diedero un’altra con dentro tenaglie, tiralacci e altri utensili per gli scarpini. Mi sembrava di andare a fare il calzolaio. Con la squadra viaggiava solo il massaggiatore, era compito suo occuparsi anche degli scarpini. Andò bene e vincemmo quel torneo che per importanza era secondo solo al Viareggio».

Tra gli allenatori ha avuto un feeling parti colare con Liedholm. «Con il Barone ho trascorso tanti anni. Ricordo che non voleva la moglie in ritiro perchè il mago di Busto Arsizio gli disse che gli portava sfortuna. Ma sono sempre andato d’accordo con tutti i tecnici. Devo ringraziare tutti i presidenti con i quali ho lavorato. Da Sacerdoti che mi fece il primo contratto a Sensi, che aveva grande rispetto per me. Mi trovo bene anche con la figlia. Viola parlava poco e metteva soggezione. Era molto presente. Una volta si fece dare un centimetro e si mise a misurare tutti gli alberi, minacciando quelli del vivaio che se non fossero cresciuti non li avrebbe pagati».

Giorgio Rossi ha vissuto da vicino due tristi storie che fecero scalpore negli anni Novanta alla Roma. «Delle compresse di Lipopill il dottor Alicicco e io non sapevamo niente. Le por tò un giocatore di cui non vorrei fare il nome e non era Peruzzi. Erano pasticche che prendeva Maradona per togliere l’appetito e non mangiare. Poi c’era una sostanza che aiutava a sentirsi meglio. Quando beccarono Caniggia all’antidoping fu un altro momento difficile. Caniggia era un po’ strano, anche a Trigoria stava sempre chiuso in camera. Ricordo che lui sapeva che aveva preso qualcosa, ma a noi non disse niente. Ma chiese a Muzzi se poteva andare a fare il controllo antidoping al suo posto».

I tre scudetti della Roma se li ricorda bene.
«Quando arrivò il primo, nel ’42, ero un ragazzino e qualche volta andavo allo stadio. Nell’82 a Genova fu una festa bellissima. Falcao mi regalò la sua maglia. Dopo due giorni me la richiese dicendo che doveva darla alla madre. L’ultimo fu una cavalcata eccezionale. Avevamo uno squadrone. Capello era molto esigente nella disciplina e negli orari. Il giorno della partita-scudetto, contro il Parma all’Olimpico, si arrabbiò moltissimo con i tifosi. Con il loro ingresso in campo rischiarono di far sospendere la partita. Diedi tante di quel le borsate per mandarli via… Si portavano via tutto, anche la borsa dei medicinali». Un altro straordinario artefice di quello scudetto fu Batistuta, che a Roma ha lasciato un ricordo sbiadito:
«Era molto schivo e riservato, anche un po’ taccagno, con le ragnatele nelle tasche, come si dice a Roma. Appena arrivato Balbo, un altro che ricordo con affetto, gli disse: “Dai 50.000 lire a Giorgio che ti compra le lamette”. Lo ha fatto il primo mese poi si è dimenticato».

E’ straordinario come un uomo di ottant’anni riesca a saltare con la memoria dal passato al presente. «Un allenatore che si è sempre comportato in modo eccezionale con me è Spalletti e lo voglio ringraziare. Sul lavoro è molto scrupoloso, ma saluta sempre con un sorriso e un abbraccio. Il mio legame con la Roma dura da tanti anni e sul contratto si è generato un equivoco. Io sono legato da un contratto annuale, la mia conferma è automatica, ma dipende sempre dalla società e loro con me si comportano bene».

Prima di chiudere sogna un altro scudetto:
«Ci speravo due campionati fa, ma non ce lo hanno fatto vincere. Un paio di episodi ci hanno penalizzato. Spero ancora, le vie del Signore sono infinite».

Non ha dubbi quando deve scegliere il giocatore più forte in 50 anni di Roma: «Totti è un artista. Ma anche Pruzzo aveva giocate eccezionali. Con il bomber facemmo un contratto. Mi avrebbe regalato 50.000 lire ad ogni gol. Quell’anno che ne fece tanti era rimasto indietro di cinque, mi doveva 250.000 lire. Poi ne fece cinque tutti insieme e mi fece un assegno di un milione. Alla faccia di chi diceva che era tirchio e tirato».

Chissà se farà in tempo a ritrovare un altro suo pupillo: «Ancelotti un giorno tornerà da noi, allenare la Roma è uno dei suoi sogni. In un Roma-Milan mi prese sottobraccio e vole va portarmi in panchina con lui, ma Spalletti mi richiamò dicendomi che stavo sbagliando strada. Poi Ancelotti ci ha fatto il favore di battere il Liverpool, una piccola vendetta. Che batosta fu quella sconfitta ai rigori. Pruzzo ebbe i calcoli renali, altrimenti con lui un rigore era sicuro. Falcao non lo volle battere, Di Bartolomei gliene disse quattro. Ma soprattutto i tifosi gliene hanno dette poche, di parolacce…».