sabato, Maggio 03, 2025 Anno XXI


Lacrime di gioia e lacrime di dolore. Sono le lacrime di un popolo versate per una mancata vittoria: la coppa dei campioni 1983/84. Non so quante persone vidi con la testa tra le mani. Un mare di anime che soffrivano per un sogno sfiorato. Il presagio di come sarebbe andata a finire, ( per quella che era la prima finale del maggior titolo per club a livello europeo ), era nell’aria. Troppe feste già annunciate nelle settimane che precedevano il match contro i reds di Liverpool, già da allora club di grande spessore. Ricordo quanto mi disse una mia amica che aveva un negozio di merceria, caro Massimo non sai quanta stoffa per bandiere ho ordinato e quanta ne ho dovuta riconsegnare perché invenduta;. Non si festeggia mai prima, ma il cammino della squadra nei turni preliminari e la finale designata proprio a Roma, inducevano a pensare che quella contro il Liverpool fosse già una partita vinta e stravinta.
Nel girone eliminatorio qualche apprensione non mancò, come quando andammo a giocare in Scozia, nello stadio del Dundee United. Una trasferta all’apparenza facile, ma che facile non fu, visto che perdemmo per due a zero in una partita giocata a senso unico: per il club scozzese si intende. Era notoria la carica agonistica che i club del Regno Unito esprimevano tra le loro mura, ed uscimmo con le ossa rotte da quella partita, che quasi più nessuno credeva nella possibilità di poter ribaltare quel risultato nella gara di ritorno a Roma. Dopo quindici giorni la sfida di ritorno, che non potei vedere dal parterre di quel vecchio olimpico per una banale influenza, che mi costrinse a letto quasi incatenato da mia madre, che faticò non poco per dissuadermi dalla mia prepotente voglia di assistere ad un match di tale importanza. Meno male che la televisione trasmetteva in diretta la partita e potei gioire e sfebbrare esultando per ben tre volte, rischiando l’infarto ad ogni esultanza per un gol agli orange di Scozia. Alla fine della partita tra me e mia madre non sapevamo per chi avremmo dovuto chiamare un dottore, tanta fu la gioia e l’emozione che provammo.
Quella vittoria ci aprì le porte della finale che per un doloroso scherzo del destino si sarebbe svolta proprio a Roma. La finale appunto: stadio Olimpico di Roma, la partita era una finale di Coppa dei Campioni. Le contendenti erano la Roma ed il Liverpool. Perdemmo ai rigori, nella più tragica delle ipotesi, quella a cui nessuno credeva.
Lacrime di dolore. Ricordo di aver passato una settimana in silenzio. Ascoltavo solo i laziali che miseramente avevano vinto il loro scudetto: quello della più atroce forma di non rispetto, che poi al di la dei soliti sfottò per un derby vinto o perso, deve seguire una sorta di rispetto per quello che per noi romanisti fu un dolore immenso. Chissà se loro, miseri personaggi, proveranno mai questo dolore.
Lo sguardo nel vuoto delle tante anime che sedevano nei seggiolini verdi dell’allora stadio olimpico, mi sono rimaste impresse nella memoria, ed è proprio questo lo scopo di questo racconto, perché sinceramente avrei avuto voglia di ometterlo, se non altro per non far riaffiorare, quella sensazione di avere un’anima vacante con cui ho convissuto in tutti questi anni.
Sono passati diversi anni dalla prima “Caporetto giallorossa”, la seconda arriverà in un Roma Lecce, di cui avremo modo di parlare in seguito. Il ricordo di quel periodo mi porta ad associare quelle belle facce, che adesso si vedono primeggiare nelle televisioni nazionali come conduttori televisivi sportivi. All’epoca si dichiarano amici della Roma, e dopo quella infausta serata, furono impegnati a festeggiare a base di Champagne di seconda categoria o terza categoria, la nostra sconfitta. Certo che i ragazzi di adesso queste cose non le sanno, ed è magari importante che un semplice scrivano come me cerchi di racchiudere quel bagaglio di ricordi, per dare una giusta definizione di quello che poi in realtà sono vari personaggi televisivi che da sempre mascherano la loro carbonara faziosità ostentando una sportività ed imparzialità che non hanno mai avuto.

Massimo Lanzi