giovedì, Maggio 16, 2024 Anno XXI


Nel titolo di questo mio pensiero, che ho ripreso da una canzone di Antonello Venditti, c’è la base filosofica del tifoso della Roma. Bisogna fare una piccola premessa che ci porterà ad analizzare il tessuto sociale dal quale ha preso forma e si è costituta l’enorme massa dei tifosi della magica.
La Roma è nata nel 1927, e la particolarità di questa genesi fu il voler costituire una degna rappresentanza calcistica allo strapotere delle squadre del nord Italia. Dare quindi alla città una squadra, con i colori ed il simbolo dell’Urbe. Alla fusione furono invitati, dal Senatore Italo Foschi, tutti i rappresentanti delle maggiori compagini capitoline. Si chiese loro di aderire al progetto di una fusione delle seguenti società calcistiche romane dell’epoca: Alba, Roman, Fortitudo. Venne recapitato l’invito alla polisportiva Lazio, che in primis sembrò interessata al progetto, poi successivamente abbandonò l’idea per motivi vari. Il motivo principale fu il non voler abbandonare “il bianco e azzurro”, a vantaggio dei più rappresentativi colori “rosso e giallo” sicuramente più adeguati per rappresentare i Italia e nel mondo la città capitolina. Del resto il rosso e giallo sono da 3000 anni i colori di Roma, non certo il bianco e azzurro. Da non sottovalutare poi l’atteggiamento dei Dirigenti della Lazio che credevano di appartenere ad una razza per pochi eletti. Si sentivano superiori e lo ostentarono prendendo le distanze dalla fusione in atto, che avrebbe dato a Roma un’unica squadra, dove ci si potevano riconoscere l’aristocrazia ed il popolo, quest’ultimo chiaramente maggioranza. Per i laziali, ancora adesso, è difficile accettare che la Roma rappresenti il tessuto capitolino, del resto la Roma è nata perché il suo popolo fosse rappresentato nel calcio che conta.
C’è poco da fare cari cugini, la storia ha voluto che voi sareste stati sempre minoranza, ed è apprezzabile lo sforzo che fate nel cercare di recuperare una romanità che non avete e non avrete mai. Il vostro problema sono i colori ed il nome che vi siete scelti: non rappresentano affatto nessun tipo di romanità, a maggior ragione quel tipo di romanità che ha la puzza sotto il naso, come si definiscono nella capitale quelli che se la tirano. Noi diciamo che siamo nati dopo per vederli sparire prima. Ci sono andati vicino un paio di volte e qualche parruccone della politica li ha salvati dall’estinzione. Potete dipingere il Colosseo di bianco e azzurro quante volte volete, ma nessuno nel mondo vi darà credito. Questa città è rappresentata da un’unica squadra di calcio e non è di certo la vostra, altrimenti perché quando appare il vostro nome in qualche trasmissione straniera, vicino al vostro nome “Lazio” appare il nostro nome “Roma”?

Il calcio attuale, dove mi rimane difficile identificarmi, affievolisce le passioni. Troppi mercenari prezzolati: troppi vizi, lazzi e portaborse vari. Il mio “calcio” era un mondo dove si aspettava 40 anni per poter vivere una giornata da leone. Anni e anni di anonimato, di insuccessi ed umiliazioni che ci hanno forgiato il cuore. Odiati da tutti e da tutti temuti, ma sempre leali “quelli della Roma”.
Questo dicono di noi, quelli che ci hanno incontrato e conosciuto. Una tifoseria, un popolo, una città. Rappresentanti di una romanità che molti ci invidiano. Per noi la Roma è: “la nostra Patria” è la nostra religione. Ci riconosciamo nelle storie di tutti i giorni, in ogni situazione che viviamo c’è la nostra anima, la nostra appartenenza, la nostra romanità. Dalle più estreme borgate al centro della città, dove c’è la storia del mondo noi ci siamo. Sui muri di questa capitale c’è scritto “che me fai sentì importante anche se non conto niente” frase che ci identifica. Non c’è frase più appropriata per collocare e dare un’idea di quello che siamo: impegnati nelle nostre disgrazie giornaliere dove collezioniamo negatività in abbondanza. Manifestiamo emozioni che non hanno prezzo, nel momento in cui ci troviamo abbracciati con chi hai vicino e nemmeno conosci, per un gol al derby o per un gol che ci salva da una sconfitta all’ultimo minuto. Emozioni che solo chi le può vivere può capire. Dico può, perché bisogna essere predisposti a ciò, in una società che ti dà poco o niente indietro. Sono talmente pochi i momenti di felicità per quelli come noi, che quando arrivano li viviamo in modo irrazionale: un mio amico mi disse che si fa tanta fatica a trovare uno spicchio di felicità che quando capita bisogna assaporarlo tutto.
La felicità è per chi la vive e la sa cercare e trovare, anche per una vittoria di un semplice derby o, ancora meglio, per un campionato vinto ogni 40 anni. Sarà anche un limite ma a me fa venire la pelle d’oca, così diceva Trilussa. “ C’è un’ape che se posa su un bottone de rosa: lo succhia e se ne va… Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa. “. E se lo diceva il sommo poeta possiamo crederci.

Massimo Lanzi