giovedì, Maggio 01, 2025 Anno XXI


Come si fa a raccontare un’esperienza come quella che abbiamo vissuto in Abruzzo?
Come si fa a descrivere gli sguardi delle persone, il tono della loro voce, le battute che riescono ancora a farti sorridere nonostante la distruzione che vedi tutta attorno?
Come si può spiegare che la gente, dopo tutto quello che ha passato e il terrore che ancora vive quotidianamente per un terremoto che sembra non finire mai, è ancora capace di prendersi in giro improvvisando una gara a chi riesce a prevedere il grado della scala Richter della prossima scossa o ad intuire quello della scossa che ha appena sentito?
E allora è meglio partire dalla fine, dai ringraziamenti.
Non importa chi è partito, importa chi ha contribuito.
Importa chi ha creduto a questo progetto.
Chi ha pensato: che possiamo fare di concreto? e s’è detto che non potevamo stare con le mani in mano ad aspettare che qualcun altro si preoccupasse e si muovesse al posto nostro.
C’è un nome che comprende tutti.
Chi ha messo 10 euro e a chi ne ha messi 500.
Chi si è fidato di noi senza conoscerci personalmente.
Chi non potendo darci un sostegno economico si è preoccupato di sostenerci moralmente.
Questo nome è COREdeROMA.
E a COREdeROMA, a tutti quelli che ci hanno sostenuto in ogni modo, posso dire che in Abruzzo abbiamo fatto il massimo affinché ogni euro versato, ogni oggetto donato non andasse disperso, ma andasse esattamente a chi ne aveva bisogno.
Non siamo noi che ce lo diciamo da soli.
Ce lo hanno detto, in mille modi, quelli che abbiamo incontrato e la parola più ricorrente di tutta la giornata e’ stata: grazie, grazie e ancora grazie.
Lo abbiamo letto negli occhi dei bambini che ricevuto un semplice giocattolo ci hanno sorriso come fosse il loro primo regalo.
Ce lo hanno testimoniato le mamme e le maestre che ricevuti gli zaini e il materiale per la scuola ci hanno ringraziato come se fosse l’unico oggetto indispensabile in quel momento.
E le signore, e gli anziani, che hanno accettato dei semplici biscotti, ringraziandoci e preoccupandosi di non prenderne troppi perché dovevano bastare per tutti.
Oppure quella signora che quando scaricavamo le trapunte prima ne ha chiesta una in più per la mamma ottantenne, poi è tornata indietro dicendo «le darò la mia…» per la paura di togliere a qualcuno un oggetto indispensabile, perché là fa ancora tanto freddo.
Ma se raccontassi solo questo, non racconterei che una parte di quello che abbiamo toccato con mano.
Che va oltre la devastazione, che è tanta e che le immagini non rendono appieno: vi assicuro che di persona è tutta un’altra cosa.
Perché è di straordinaria importanza che tutti sappiano che quello che abbiamo portato non sono solo oggetti, ma la nostra solidarietà, la nostra vicinanza e la nostra umanità.
E che loro forse hanno apprezzato più quella delle cose materiali che gli donavamo, capendo che ogni piccola cosa portata era una donazione fatta col cuore e non una cosa dovuta.
Perché la vita continua e la gente che abbiamo incontrato vuole solo rialzarsi e riprendere a fare quello che faceva prima.
Come i due anziani ultra ottantenni, ancora tumefatti in volto, che si sono rincontrati per la prima volta nel piazzale dopo la scossa e si sono detti: eccone un altro uscito dalle macerie, «non ci accid manc lu terremut a nui!!!!».
O quella persona, alla quale per discrezione non abbiamo neppure chiesto il nome, che vedendo le nostre felpe nel «campo nomadi» (cosi lo chiamano loro stessi sorridendo) ci è venuta incontro e urlando ci ha detto: «leggo tutti i giorni il vostro sito!!!» e poi ripensandoci un attimo dopo ci ha detto «in effetti non lo vedo da 10 giorni, da quel maledetto giorno, ma tornerò presto a vederlo!!! perché sono uno di voi!!!».
E a quel punto, con le lacrime agli occhi, ci è spuntata una sciarpa dal nulla e gliel’abbiamo data come ad un fratello ritrovato.
Lui prima se l’è messa al collo e l’ha alzata in cielo, come non gli fosse successo nulla e poi, sorridendo, ci ha portati nella sua tenda dove ci ha presentato i figli, ci ha fatto vedere un «romoletto» in bella vista sulla porta e ha svegliato il figlio juventino dicendogli «sveglia sono arrivati quelli di COREdeROMA!!!».
E tutto questo è vero, non è una favola anche se potrebbe esserlo.
Come i passanti che hanno voluto fare una foto con il nostro stendardo e gli altri che ci ringraziavano per il sostegno dei romani.
Le emozioni che abbiamo vissuto sono talmente tante che è veramente difficile descrivere tutto.
Come è difficile parlare del nostro accompagnatore, di Giancarlo, che si è dedicato a noi per tutta la giornata facendo forse 100 chilometri avanti e indietro per i paesi colpiti dal sisma, comprendendo che la che nostra voglia di vedere non era curiosità, ma partecipazione.
Che ci ha fatto accedere in luoghi chiusi al pubblico, pagando il prezzo di rivivere quei momenti, ma dandoci la possibilità di consegnare fino all’ultimo giocattolo.
Che ha ritardato il pranzo dopo 10 giorni di reperibilità 24 ore al giorno, dormendo ancora in macchina.
E che quando ci ha invitato a pranzo nella mensa riservata ai terremotati, ci ha fatto accomodare con la sua famiglia presentandoci come «amici», con le figlie che ci hanno trattato come se ci conoscessero da anni e ci hanno raccontato aneddoti degli anni passati, quando il burbero papà le controllava a vista in discoteca, e che con un sorriso hanno ammesso che in fondo il loro papà è il migliore del mondo!
Ecco, la mia preoccupazione è raccontarvi i sentimenti, non solo le cose.
Perché quelle le potete vedere dalle fotografie.
E’ descrivere la gente che scherzando già pensava già al posto per l’albero di Natale, e questa è voglia di vivere e di ricominciare, non follia o incoscienza.
E’ di far comprendere a tutti che ogni persona che abbiamo incontrato a tavola, dove si aggiungevano mano a mano nuovi amici, ha tenuto a dirci che erano consapevoli che tutta l’Italia aveva fatto qualcosa di straordinario riempendoli di ogni bene, ma che la loro preoccupazione non era quella che il cibo in futuro potesse scarseggiare, ma che potesse venire meno l’affetto e il sorriso di tutti quelli come noi, che anche solo per un giorno ci siamo fatti loro amici.
E noi amici lo siamo stati per davvero.
Non solo noi fisicamente che siamo andati lì, ma tutti.
Tutti quelli che si riconoscono nei nostri stessi sentimenti.
Perché in Abruzzo non ci siamo andati solo noi, c’è andato COREdeROMAe tutto quello che per tanta gente rappresenta.
Anche per chi vive in una tenda perché ha perso tutto quello che aveva.
Per un evento infame che l’ha colpito nel sonno!

Emanuele