domenica, Maggio 19, 2024 Anno XXI


da forzaroma.info

Marco MottaUna interessante intervista sul numero di marzo de LaRoma ci presenta Marco Motta uno degli ultimi acquisti giallorossi entrato subito nel cuore dei tifosi.

Intanto cominciamo dal tuo esordio nella gara contro il Genoa… «Bellissimo, sono uscito per ultimo dallo stadio per paura che il sogno finisse! Sono soddisfatto anche se so di avere ancora grandi margini di miglioramento».

In molti si sono fatti domande sul tuo ruolo in campo: qual è? «Si dice che sono più bravo ad attaccare che a difendere, ma io penso che il mio ruolo, il terzino, sia sostanzialmente quello di difensore».

I tifosi giallorossi ti vogliono conoscere di più: raccontaci il tuo inizio col calcio… «Ho un fratello più grande di me che è sempre stato uno sportivo, amante del calcio, quindi il pallone a casa mia c’è sempre stato.
Oltre a lui, che mi ha battezzato calcisticamente, devo ringraziare la mia famiglia, che mi ha sempre permesso di fare le mie scelte, lasciandomi godere la mia infanzia assecondando le mie inclinazioni, benché nessuno avesse a che fare col mondo del calcio professionistico. Mi sono sempre stati vicini, senza però mai darmi pressioni, riprendendomi solo nella sfera comportamentale e non tecnica».

Proprio in virtù di questo rapporto con la tua famiglia, cosa diresti ad un ragazzo giovane che si avvia a questa carriera? «Oltre che spronarlo, il vero consiglio lo darei ai genitori: lasciarlo tranquillo, seguirlo nei limiti del giusto, farlo crescere e divertire senza mire economiche».

Dove hai cominciato a dare i primi calci al pallone? «Ho cominciato molto presto alla scuola calcio di Lomagna, il mio paese. L’anno dopo mi ha richiesto l’Usmate, la squadra di paesino vicino al mio, dove ho sempre giocato con ragazzi più grandi di me.
Poi sono passato all’Atalanta: con i miei pari età del 1986 abbiamo fatto insieme tutta la trafila dalle giovanili fino alla Prima Squadra, il tutto in 10 anni».

Da piccoli si ha sempre un idolo, qual era il tuo? Magari uno dei giallorossi? «Alla Roma ci sono sempre tantissimi campioni, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Il mio idolo, fin da piccolo, è stato Paolo Maldini, che gioca nel mio ruolo: un uomo vero, dentro e fuori dal campo. Ha più di quarant’anni ed è ancora fortissimo».

Ti sei tolto delle belle soddisfazioni nel Settore Giovanile nerazzurro, no? «Io ho avuto una grande fortuna perché il Settore Giovanile dell’Atalanta, oltre che uno tra i migliori tecnicamente, è da sempre molto attento alle esigenze dei ragazzi. Lì curavano con lo stesso interesse la mia crescita calcistica e la mia crescita umana, seguendomi in tutto e per tutto».

E proprio con la maglia dell’Atalanta hai debuttato in serie A, a 18 anni, proprio contro la Roma allo stadio Olimpico… «Un ricordo indelebile: è stato un momento straordinario, soprattutto perché arrivato contro una grande squadra come la Roma. In quella gara ero impegnato terzino sinistro e mi sono dovuto occupare di Mancini e Cassano. Non potevo scegliere “testimoni” migliori per il mio battesimo con la massima serie!».

Nel 2004-2005 il trasferimento in comproprietà a Udine: come avvenne il passaggio? «A fine stagione l’Udinese mi ha fortemente voluto anche perché in quello stesso periodo sono entrato a far parte del giro della Nazionale. Proprio durante un ritiro dell’Under 21 il mio procuratore mi accennò a questo interessamento.
Certo, a Bergamo lasciavo un pezzo di cuore, ma l’Udinese, che doveva anche fare la Champions League con Spalletti, pensavo fosse la scelta migliore per la mia carriera. Purtroppo le cose andarono diversamente perché io mi infortunai e Spalletti andò via quella stessa estate…».

Come ti sei trovato in Friuli? «Sono stato accolto bene, purtroppo l’infortunio con la rottura del legamento crociato anteriore destro, ha guastato tutto. Lì però ho avuto la fortuna di fare il mio primo gol in serie A. I momenti indelebili nella carriera di un calciatore non sono tanti, ma quel gol è davvero uno di quei ricordi che non si dimenticano».

Poi arrivò l’esperienza al Torino… «Quell’anno l’Udinese decise di riscattarmi dall’Atalanta e mi mandò in prestito al Torino. Una bella esperienza quella piemontese, ma sono stato poi contento di tornare coi bianconeri».

Arriviamo a quest’anno, le prime gare sempre in campo e poi, man mano sempre di meno: già avevi in mente un trasferimento a gennaio? «No, è stata l’Udinese che ha deciso di mettermi sulla piazza: così, a pochi giorni dalla chiusura del mercato, ho avuto il contatto con la Roma. Colgo l’occasione per ringraziare dalle pagine della Rivista Ufficiale la società e il direttore sportivo di aver puntato su di me.
Il progetto mi ha da subito affascinato: non ci ho pensato due volte e sono venuto a Roma».

Quali sono le tue aspettative? «Io sono entusiasta di essere qui e quello che mi aspetto è semplicemente di lavorare bene per migliorare, cercare di dare il mio apporto qualora possibile».

Passare da città come Udine e Bergamo a Roma: senti più pressioni o responsabilità? «Penso sia logico e normale che sia così, perché quella giallorossa è una delle prime squadre al mondo: per me personalmente è il massimo e di conseguenza penso sia una cosa logica che ci si aspetti molto da noi giocatori».

Ci hai detto che con Spalletti vi siete solo incrociati ad Udine. Un tuo pensiero sul Mister dopo pochi giorni di allenamento? «Mi ha dato subito ottime sensazioni e quando dico così, intendo a 360 gradi. Delle sue qualità tecniche c’è poco da dire, basta vedere il campo e i risultati dei giallorossi in questi anni. Mi ha stupito il modo in cui mi ha accolto, come mi ha fatto integrare nel gruppo.
Grazie a lui ed al suo preziosissimo staff è stato tutto più semplice».

Qui hai trovato un grande gruppo: tra tutti i giallorossi chi ti ha impressionato di più? «Qui sono tutti campioni e dovrei quindi elencare tutta la rosa. Sarebbe superficiale nominare i vari Totti e De Rossi, che sono campioni a livello mondiale. Chi mi ha stupito sono quelli magari meno visibili come Taddei e Perrotta, giocatori che in ogni singolo minuto dell’allenamento danno il massimo, oltre a fare numeri di alta scuola».

Da quello che ci risulta, solo con Aquilani avevi già giocato insieme, no? «È vero, con Alberto abbiamo giocato spesso insieme in Nazionale: poi molti altri li conoscevo in quanto affrontati sul campo di gioco da avversari».

Se dovessi fare la lista degli allenatori da ringraziare per essere arrivato qui chi nomineresti? «In generale, devo ringraziare tutti gli allenatori che ho avuto, perché ognuno di loro mi ha permesso di superare gradino per gradino tutti gli ostacoli trovati. In particolar modo dico il “maestro” Bonifacio, il primo allenatore che mi ha voluto all’Atalanta e il secondo è Mino Favini, responsabile del Settore Giovanile dell’Atalanta.
Allo stesso modo mi sento anche di ringraziare il mister Antonio Rocca, che mi ha fortemente voluto in Nazionale, mi ha dato la fascia di capitano e che ancora oggi ritrovo in Under 21».

Proprio a proposito di Nazionale, nell’Under 21 fai coppia con Andreolli, altro giallorosso… «Siamo molto amici, anche fuori dal campo. Anche io come lui ho subito un brutto infortunio e so cosa vuol dire arrivare in un nuovo team da infortunato: si complica tutto l’inserimento nella squadra e di riflesso nella società che ci gira intorno. Lui ha tutte le carte per diventare un ottimo giocatore e quest’anno si sta mettendo in mostra al Sassuolo, dove gioca con continuità. Il suo pregio migliore è sicuramente la marcatura e il colpo di testa. Chissà, magari ci ritroveremo a giocare qui insieme…».

Sempre in tema di Nazionale, tu sei fresco dall’esperienza alle Olimpiadi, oltretutto da capitano della Nazionale olimpica di calcio: che ci racconti di Pechino? «Prima parlavo di momenti indelebili nella vita di un calciatore: beh, quello sicuramente va nella “top 10”. È stata una esperienza unica che ho avuto la fortuna di vivere, e dico fortuna perché c’è stata una combinazione di anni e di età anagrafica che mi hanno permesso di parteciparvi e mai mi ricapiterà ancora. Inoltre, respirare lo spirito olimpico è straordinario».

Sei qui a Roma da pochi giorni: ti sei riuscito ad orientare, oppure il “tom-tom” è il tuo migliore amico? «Sicuramente in questi giorni io ed il navigatore dell’auto passiamo molto tempo insieme! A Roma ero già stato un paio di volte, in occasioni di partite delle giovanili oppure della Nazionale. E non posso scordare la visita in occasione dell’incontro con Papa Giovanni Paolo II. Per il resto, ancora oggi, tutto mi sembra straordinario e viaggio sulle ali dell’entusiasmo… forse mi serve ancora qualche giorno per capire e rendermi conto di tutto».

A proposito di emozioni, è vero che quando ti hanno chiesto di scegliere il numero di maglia tu hai chiesto il primo disponibile? «Sì, come ti dicevo venire a Roma per me è davvero un sogno. Quando è stato definito l’accordo del mio passaggio a tutto pensavo fuorché al numero. A Udine avevo il 23, scelto per Michael Jordan, che ammiro non come uomo ma come simbolo di grandezza sportiva nel suo settore».

In conclusione, cosa ti senti di promettere ai nostri tifosi? «Una cosa la posso promettere di sicuro, il mio impegno sempre e comunque, in campo ed in allenamento.
Sono dell’idea che il lavoro paga e quindi certamente non mi vedrete mai uscire con la maglia asciutta, questo è sicuro».