mercoledì, Maggio 08, 2024 Anno XXI


da romanews.eu

Júlio César Clement BaptistaBaptista al “Guerin Sportivo”

Il Bello della Bestia. Un fisico possente, una classe cristallina, lineamenti da fotomodello, un curriculum da far brillare gli occhi e un soprannome che proprio non gli va giù. «Me lo diede il presidente del Siviglia» sorride Julio Baptista mentre sfoglia una copia del Guerin Sportivo, «da quel giorno è stato un mio compagno di viaggio. Non mi piace, ma per fortuna dalle mie parti non ha una connotazione negativa come in Italia: qui dà l’idea di qualcosa di brutto. E pensare che in giro ci sono tanti giocatori potenti».

Nomignoli a parte, Roma ti aiuta a superare la saudade? «Non l’ho mai avuta. Forse sono un brasiliano atipico. Questa città è fantastica. La gente è calda, si vive molto bene e la nostalgia resta una parola vuota».

Dopo il gol nel derby, i tifosi ti hanno dedicato una piazza, cambiando “G. Battista Grassi” in “Julio Baptista”. «È bello fare telice tanta gente, ma non mi era mai capitata una cosa simile e penso che solo qui potesse accadere. Queste cose fanno capire quanto sia importante il calcio a Roma».

E pensare che se fosse arrivato Mutu, tu non avresti mai visto Trigoria. «Già, la Roma non mi avrebbe preso. Adrian gioca nel mio ruolo. Diciamo che sono stato una valida alternativa: volevo lasciare il Real e i giallorossi sono arrivati al momento opportuno».

Ora puoi sbilanciarti: era la Roma che ti aspettavi? «Sì, le attese sono state confermate. Una squadra forte, ambiziosa, ricca di campioni. Abbiamo un solo rimpianto: non essere riusciti a garantire una certa regolarità di risultati».

Una truppa abile e ambiziosa, comandata da un tecnico severo ed esigente: che idea ti sei fatto di Spalletti? «Ha tanta voglia di fare bene. È una persona bravissima e un allenatore perfezionista e rigoroso. Non lascia nulla al caso».

Hai condiviso il modo in cui ha gestito il caso-Panucci? «Sì. Ha un carattere forte e penso che tutti dobbiamo rispettarlo. Poi ognuno può pensarla in maniera diversa. Peccato, però: l’esperienza di Christian ci avrebbe fatto comodo, ancor di più in Europa».

Ti ricorda qualche allenatore che hai avuto in passato? «Sì, il tecnico di quando iniziai a giocare al San Paolo. Gli altri, invece, erano diversi tra loro. Ma tutti più tranquilli di Spalletti».

Osiamo un po’: dove può arrivare la Roma? «Sono certo che presto raggiungerà i livelli dell’Inter. Adesso che ha ritrovato un po’ di tranquillità, può volare alta. Per troppo tempo abbiamo dovuto fare i conti con gli infortuni. In questo senso dobbiamo stare più attenti. Se supereremo al meglio questi problemi e riusciremo a giocare da Roma, arriveremo al quarto posto e assaporeremo l’Europa che conta».

Dunque l’obiettivo è il quarto posto? «Sì. Siamo consapevoli di aver fallito due, tre partite e di aver perso per strada dei punti. Meglio restare con in piedi per terra e puntare dritti al piazzamento minimo per la Champions».

I tanti infortuni dei quali parlavi, potrebbero derivare dal fatto che in Italia ci si allena troppo? «Non lo dico… Ma basta fare una comparazione con il calcio inglese e spagnolo per confermarlo: qui si lavora molto di più».

La coppia d’attacco è spesso composta da Totti e Vucinic: ti senti meno titolare di quanto speravi? «La penso in maniera totalmente diversa. Sono un giocatore della Roma e se il tecnico mi chiede di stare in panchina non discuto. Però ci tengo a specificare una cosa: non sono una punta, ma un trequartista».

Ne hai parlato con Spalletti? «Lo sanno tutti, non devo parlarne con nessuno. E non so neppure se il mio ruolo piaccia o meno al tecnico. La cosa certa è che si è creata troppa confusione e la gente pensa che debbano giocare Totti-Vucinic o Totti-Baptista. Non è così. Il mio ruolo è un altro. Possiamo giocare insieme, ma io devo agire da trequartista, tra le linee. Ognuno deve giocare dove si esprime meglio. Chiaro?».

Certo e altrettanto chiaro è il quesito successivo: quale modulo prediligi? «Il 4-3-1-2, il noto “rombo”. Io mi colloco in quell’1 alle spalle dell’attaccante: nella cabina delle invenzioni».

Quale compagno ti ha impressionato di più? «De Rossi. Montella è senz’altro il più brasiliano della squadra: ha un dribbling carioca. Per il futuro punto su Aquilani. Totti? Ha tante qualità ma anche 33 anni e deve fare i conti con gli infortuni. Vive la parte finale della carriera, magari tra tre stagioni dirà addio al calcio. È stato ed è un grandissimo calciatore. Ha una spiccata mentalità, ha lasciato il segno».

Lo metti tra i Dieci più importanti che hai visto? «Andiamo con ordine: Zidane è al primo posto, Ronaldo al secondo… No, non credo di poter mettere Checco sul podio. È un grande ma ha già vissuto il miglior momento. Se avessi giocato con lui qualche anno fa, l’avrei potuto apprezzare meglio e lo avrei inserito nei primi tre posti. Il bronzo spetta a Ronaldinho: al Barcellona era un vero fenomeno. Una citazione a parte la merita Roberto Carlos, il miglior terzino della storia. Non ce n’è un altro come lui».

Chi è il vero leader della Roma? «Sono due: Totti e De Rossi. Sono entrambi romani e i tifosi si identificano in loro».

Domanda secca: gli arbitri favoriscono l’Inter? «A mio modo di vedere la cosa non riguarda solo l’Inter. Ho visto quattro volte la Juventus ed è sempre stata una cosa incredibile. Un giorno vorrò capire come si possa fare così. Il guardalinee era a un passo da un giocatore bianconero in netta posizione di fuorigioco. Il pallone ha raggiunto questo giocatore in fuorigioco e il guardalinee non ha fatto niente. Non ho mai visto nulla di simile nell’arco della mia carriera».

Gli arbitri stanno falsando il campionato? «No, questo no. Sennò è un casino. Il calcio non sarebbe più una cosa bella, ma manipolata. Certo: non ho mai visto certe cose in altri tornei, ma penso che non lo facciano a posta».

Parliamo di errori che possono condizionare un torneo. «Un conto è sbagliare una cosa difficile, un altro è commettere errori troppo semplici. Mi spiego: se tu guardalinee vedi che un giocatore è in fuorigioco, sei in ottima posizione per verificare la cosa, perché non alzi la bandierina?».

Siamo fermi alla parola magica: perché? «Perché a mio modo di pensare c’è una certa protezione per le squadre più grandi».

La Roma è protetta? “No, assolutamente. Non è protetta. A parte il fallo di mano di Mexes contro l’Udinese, non ha certo ricevuto aiuti».

Dunque De Rossi ha fatto bene a sfogarsi dopo la gara con l’Inter, affermando: “Temo che non vincerò mai uno scudetto con la Roma”. Un messaggio chiaro. «Sì, ha fatto bene. È un discorso complicato. Dobbiamo fare ancora tanto cammino e giocare molte gare. Dopo una frase come quella di Daniele, c’è il rischio che tutti, compreso l’arbitro, pur vedendo cosa accade in campo, vengano contro di noi. Per questo non mi piace parlare dei direttori di gara: ormai sappiamo come funziona».

Però il silenzio non sempre premia. «È vero. Ma non dobbiamo essere solo noi giocatori a parlare, deve farlo anche la società. La Roma non si è ancora schierata, ma deve farlo. Perché quando accadono certe cose al Real Madrid o al Barcellona, parlano tutti: squadra e club. Se non si è convinti delle cose che accadono, si deve intervenire con un comunicato. Lo aspetto».

Voltiamo pagina: Amauri e Taddei fanno bene ad abbandonare la Seleçao e puntare alla Nazionale italiana? «Amauri è venuto presto in Europa, non è mai andato in nazionale e nessuno in Brasile lo conosceva. Davanti a lui ci sono Luis Fabiano, Pato, Robinho: non troverebbe comunque spazio. Pure Rodrigo, che in Brasile è più conosciuto di Amauri, farà bene a puntare sull’azzurro».

A proposito di nazionale, quale vedi favorita per il Mondiale? «Germania o Italia sono in grado di mettere paura a tutti. Ma il parterre è ricco: occhio alla Francia e al mio Brasile».

Qual è stato il migliore allenatore che hai avuto? «Wenger. Mi ha valorizzato, anche se per me non fu facile ai tempi dell’Arsenal, dove trovai una squadra vice-campione di Champions. Un gruppo già formato, compatto. Però, lavorando sodo, riuscii a ritagliarmi lo spazio. Da Wenger ho appreso tanto».

La miglior squadra? «Il Siviglia mi ha dato notorietà, ma il top resta il Real Madrid, dove ho avuto la possibilità di giocare con tanti campioni e rubare tanti e preziosi segreti».

Cosa manca alla Roma per diventare un club del calibro di Real o Manchester? «Manca qualcosa sia a livello tecnico che societario. Si dovrebbe fare meglio. Qui c’è una famiglia che ha in mano la società: non è come negli altri club dove ci sono tante persone che formano il nucleo dirigenziale. Da una parte è un bene, perché ci si mettono cuore e passione, dall’altra sarebbe meglio lavorassero più persone esterne, per consentire al club di fare il salto di qualità. Bisognerebbe essere soprattutto più rappresentati e organizzati».

L’uscita dalla Champions con l’Arsenal, quanto rallenta il progetto di crescita? «Il modo in cui siamo stati eliminati mi fa ancora male. Abbiamo fatto una grande gara di ritorno, malgrado i tanti assenti. Non ci ho dormito».

Fuori dal campo cosa ti piace fare? «Amo la normalità. Uscire a cena con la famiglia, qualche serata al cinema, frequentare i compagni brasiliani e suonare la chitarra o alcuni strumenti come il Cavaquinho. Ma la cosa che amo di più è il golf: quando posso vado sul green. Se non fossi diventato un calciatore, avrei puntato sul golf o avrei cercato gloria in campo musicale».

I tuoi cantanti preferiti? «Mi piace la Pausini e vado matto per le tonalità spagnole, brasiliane, inglesi e italiane. Da sempre, ho un debole per il grande Michael Jackson».

Prima di chiudere, facciamo un gioco: consiglia un giocatore alla Roma «A noi serve molto un esterno in grado di coprire entrambe le fasce. Che sia veloce ed abile a destra e a sinistra. Un elemento alla Cristiano Ronaldo. Ma anche Robben sarebbe il top».

Cosa saresti disposto a fare per vincere lo scudetto? «I capelli non posso tagliarli perché li ho già corti. Però potrei cantare “Grazie Roma” sul prato dell’Olimpico subito dopo il fischio finale. E magari mi farei accompagnare da Pizarro. Il Pek quando fa la doccia canta in modo superlativo».

Cosa pensi della polemica di Mourinho? «Non entro nel merito: mi limito a dire che il portoghese mi piace come tecnico. Diplomatico? Può darsi. Ma sincero».