venerdì, Aprile 19, 2024 Anno XXI


Finisce così, come era giusto che finisse, la stagione del calcio italiano che conclude un anno indimenticabile quanto paradossale.
Finisce con la beffa di quello che vince la competizione alla quale non doveva partecipare, dopo che in casa aveva trionfato il suo concittadino campione mondiale di sfondamento delle porte aperte.Si chiude così mirabilmente un periodo surreale iniziato appena dodici mesi fa con la pubblicazione dei verbali delle intercettazione della banda Moggi e Co., che avrebbe dovuto rappresentare la rifondazione del calcio italiano e che invece ha rappresentato solo la perpetrazione di un sistema di potere basato sulle lobby e sul malaffare.
Come CdR ci rifiutiamo di imboccare la strada lubrificata del “politically correct” che si propaga oggi dai media che separa capziosamente il fatto agonistico da quello sportivo, perché lo sport ha una base fondante che è quella delle regole, senza il rispetto delle quali il più bel gesto atletico vale poco più di nulla.
La pietra angolare, la regola sesquipedale, sta nel fatto che quelli li nun ce dovevano sta. Se si supera questo tutto diventa opinabile e si disquisisce del sesso degli angeli.
Lo diciamo con grande serenità e senza abbracciare logiche faziose che sono anche fuori luogo in un momento storico in cui il Campionato di calcio Italiano, luogo un tempo di grandi rivalità cittadine, è diventato oggi puro spettacolo in stile NBA.
Ci mancano solo i Lupi di Roma che si contrappongano alle Zebre di Torino per aver, de facto, sovrapposto in toto la realtà di cellophane del prodotto americano alla nostra fatta di sanguigne dispute tra città stato, o comuni se preferite, l’un contro l’altro armati da almeno un millennio.
E in questa realtà, che percepiamo sempre più raccontata e sempre meno vissuta, che si inserisce il tormentone tafazziano del romanista che “vuole i campioni” non senza aver inserito come condizione pregiudiziale un bel “rosella sensi caccia li sordi”.
Il trionfo del “progetto”, ammesso e non dato che mai ne sia esistito uno, sta nella consapevolezza che questa piazza, nelle condizioni attuali, può proporre determinate condizioni economiche che si declinano in “tetti di ingaggio” e in “ricerca della valorizzazione dei talenti”.
Continuare a battere a martello su “tizio, caio e sempronio nun se toccano, damoje tutto quello che vonno” e “almeno tre campioni tre” è antistorico ma, soprattutto, antiproducente.
Poi, se e quando, arriverà la multinazionale dal portafoglio a fisarmonica; poi, se e quando, arriveranno i russi della Nafta; poi, se è quando, arriverà il magnate americano illuminato e capace di stroncare i traffici del franchising napoletano; poi, se e quando, arriverà l’illuminato imprenditore romano capace di fare meglio di quanto hanno fatto finora le famiglie Sensi e Viola, allora se ne discuterà.
Il bilancio di quest’anno, straordinariamente positivo pur se con quale ombra ancorché pesante, è godibile ed esaltante se valutato per quello che è. Un fatto straordinario.
Chi lo vende, e in questo anche l’adorato Capitano sta commettendo qualche errore, come solo la base di partenza per sensazionali approdi futuri mente sapendo di mentire.
Ma ciascuno è libero di farsi prendere per i fondelli come meglio preferisce.

Ad maiora