domenica, Maggio 11, 2025 Anno XXI


da romanews.eu

Daniele De RossiLa Roma ha presentato alla Corte di Giustizia il ricorso contro le due giornate di squalifica inflitte a De Rossi dopo il match con l’Udinese. Grazie al documento preparato dall’avvocato Conte, la società di Trigoria spera di poter restituire il centrocampista al proprio allenatore per la sfida contro la storica rivale Juventus. La situazione, però, non è delle più semplici: il ‘dettagliato’ referto dell’arbitro Tagliavento non consente slanci di ottimismo. Entro la mattinata di sabato si conoscerà l’esito del ricorso. Un rebus, al momento. Un altro.

da forzaroma.info

Erik Olof MellbergLe parole del difensore bianconero Olof Mellberg in vista della partita di sabato sera contro la Roma «Contro la Roma sabato sera non possiamo permetterci passi falsi, anche se affronteremo una squadra molto forte e sarà una gara difficile».

E la partita con i giallorossi diventa fondamentale per proseguire il cammino tricolore. Mellberg è convinto che per alimentare le ambizioni bianconere si dovrà tornare dall’Olimpico con i tre punti, nonostante i tanti infortuni (ma anche con i recuperi di Trezeguet e Nedved). «Anche alla Roma mancheranno diversi elementi, ma le assenze non saranno determinanti, nè da una parte nè dall’altra. Noi ad esempio, a ottobre, novembre e dicembre abbiamo avuto tanti giocatori infortunati, eppure abbiamo vinto quasi tutte le partite. Ora dovremo fare altrettanto».

da forzaroma.info

Marco MottaUna interessante intervista sul numero di marzo de LaRoma ci presenta Marco Motta uno degli ultimi acquisti giallorossi entrato subito nel cuore dei tifosi.

Intanto cominciamo dal tuo esordio nella gara contro il Genoa… «Bellissimo, sono uscito per ultimo dallo stadio per paura che il sogno finisse! Sono soddisfatto anche se so di avere ancora grandi margini di miglioramento».

In molti si sono fatti domande sul tuo ruolo in campo: qual è? «Si dice che sono più bravo ad attaccare che a difendere, ma io penso che il mio ruolo, il terzino, sia sostanzialmente quello di difensore».

I tifosi giallorossi ti vogliono conoscere di più: raccontaci il tuo inizio col calcio… «Ho un fratello più grande di me che è sempre stato uno sportivo, amante del calcio, quindi il pallone a casa mia c’è sempre stato.
Oltre a lui, che mi ha battezzato calcisticamente, devo ringraziare la mia famiglia, che mi ha sempre permesso di fare le mie scelte, lasciandomi godere la mia infanzia assecondando le mie inclinazioni, benché nessuno avesse a che fare col mondo del calcio professionistico. Mi sono sempre stati vicini, senza però mai darmi pressioni, riprendendomi solo nella sfera comportamentale e non tecnica».

Proprio in virtù di questo rapporto con la tua famiglia, cosa diresti ad un ragazzo giovane che si avvia a questa carriera? «Oltre che spronarlo, il vero consiglio lo darei ai genitori: lasciarlo tranquillo, seguirlo nei limiti del giusto, farlo crescere e divertire senza mire economiche».

Dove hai cominciato a dare i primi calci al pallone? «Ho cominciato molto presto alla scuola calcio di Lomagna, il mio paese. L’anno dopo mi ha richiesto l’Usmate, la squadra di paesino vicino al mio, dove ho sempre giocato con ragazzi più grandi di me.
Poi sono passato all’Atalanta: con i miei pari età del 1986 abbiamo fatto insieme tutta la trafila dalle giovanili fino alla Prima Squadra, il tutto in 10 anni».

Da piccoli si ha sempre un idolo, qual era il tuo? Magari uno dei giallorossi? «Alla Roma ci sono sempre tantissimi campioni, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Il mio idolo, fin da piccolo, è stato Paolo Maldini, che gioca nel mio ruolo: un uomo vero, dentro e fuori dal campo. Ha più di quarant’anni ed è ancora fortissimo».

Ti sei tolto delle belle soddisfazioni nel Settore Giovanile nerazzurro, no? «Io ho avuto una grande fortuna perché il Settore Giovanile dell’Atalanta, oltre che uno tra i migliori tecnicamente, è da sempre molto attento alle esigenze dei ragazzi. Lì curavano con lo stesso interesse la mia crescita calcistica e la mia crescita umana, seguendomi in tutto e per tutto».

E proprio con la maglia dell’Atalanta hai debuttato in serie A, a 18 anni, proprio contro la Roma allo stadio Olimpico… «Un ricordo indelebile: è stato un momento straordinario, soprattutto perché arrivato contro una grande squadra come la Roma. In quella gara ero impegnato terzino sinistro e mi sono dovuto occupare di Mancini e Cassano. Non potevo scegliere “testimoni” migliori per il mio battesimo con la massima serie!».

Nel 2004-2005 il trasferimento in comproprietà a Udine: come avvenne il passaggio? «A fine stagione l’Udinese mi ha fortemente voluto anche perché in quello stesso periodo sono entrato a far parte del giro della Nazionale. Proprio durante un ritiro dell’Under 21 il mio procuratore mi accennò a questo interessamento.
Certo, a Bergamo lasciavo un pezzo di cuore, ma l’Udinese, che doveva anche fare la Champions League con Spalletti, pensavo fosse la scelta migliore per la mia carriera. Purtroppo le cose andarono diversamente perché io mi infortunai e Spalletti andò via quella stessa estate…».

Come ti sei trovato in Friuli? «Sono stato accolto bene, purtroppo l’infortunio con la rottura del legamento crociato anteriore destro, ha guastato tutto. Lì però ho avuto la fortuna di fare il mio primo gol in serie A. I momenti indelebili nella carriera di un calciatore non sono tanti, ma quel gol è davvero uno di quei ricordi che non si dimenticano».

Poi arrivò l’esperienza al Torino… «Quell’anno l’Udinese decise di riscattarmi dall’Atalanta e mi mandò in prestito al Torino. Una bella esperienza quella piemontese, ma sono stato poi contento di tornare coi bianconeri».

Arriviamo a quest’anno, le prime gare sempre in campo e poi, man mano sempre di meno: già avevi in mente un trasferimento a gennaio? «No, è stata l’Udinese che ha deciso di mettermi sulla piazza: così, a pochi giorni dalla chiusura del mercato, ho avuto il contatto con la Roma. Colgo l’occasione per ringraziare dalle pagine della Rivista Ufficiale la società e il direttore sportivo di aver puntato su di me.
Il progetto mi ha da subito affascinato: non ci ho pensato due volte e sono venuto a Roma».

Quali sono le tue aspettative? «Io sono entusiasta di essere qui e quello che mi aspetto è semplicemente di lavorare bene per migliorare, cercare di dare il mio apporto qualora possibile».

Passare da città come Udine e Bergamo a Roma: senti più pressioni o responsabilità? «Penso sia logico e normale che sia così, perché quella giallorossa è una delle prime squadre al mondo: per me personalmente è il massimo e di conseguenza penso sia una cosa logica che ci si aspetti molto da noi giocatori».

Ci hai detto che con Spalletti vi siete solo incrociati ad Udine. Un tuo pensiero sul Mister dopo pochi giorni di allenamento? «Mi ha dato subito ottime sensazioni e quando dico così, intendo a 360 gradi. Delle sue qualità tecniche c’è poco da dire, basta vedere il campo e i risultati dei giallorossi in questi anni. Mi ha stupito il modo in cui mi ha accolto, come mi ha fatto integrare nel gruppo.
Grazie a lui ed al suo preziosissimo staff è stato tutto più semplice».

Qui hai trovato un grande gruppo: tra tutti i giallorossi chi ti ha impressionato di più? «Qui sono tutti campioni e dovrei quindi elencare tutta la rosa. Sarebbe superficiale nominare i vari Totti e De Rossi, che sono campioni a livello mondiale. Chi mi ha stupito sono quelli magari meno visibili come Taddei e Perrotta, giocatori che in ogni singolo minuto dell’allenamento danno il massimo, oltre a fare numeri di alta scuola».

Da quello che ci risulta, solo con Aquilani avevi già giocato insieme, no? «È vero, con Alberto abbiamo giocato spesso insieme in Nazionale: poi molti altri li conoscevo in quanto affrontati sul campo di gioco da avversari».

Se dovessi fare la lista degli allenatori da ringraziare per essere arrivato qui chi nomineresti? «In generale, devo ringraziare tutti gli allenatori che ho avuto, perché ognuno di loro mi ha permesso di superare gradino per gradino tutti gli ostacoli trovati. In particolar modo dico il “maestro” Bonifacio, il primo allenatore che mi ha voluto all’Atalanta e il secondo è Mino Favini, responsabile del Settore Giovanile dell’Atalanta.
Allo stesso modo mi sento anche di ringraziare il mister Antonio Rocca, che mi ha fortemente voluto in Nazionale, mi ha dato la fascia di capitano e che ancora oggi ritrovo in Under 21».

Proprio a proposito di Nazionale, nell’Under 21 fai coppia con Andreolli, altro giallorosso… «Siamo molto amici, anche fuori dal campo. Anche io come lui ho subito un brutto infortunio e so cosa vuol dire arrivare in un nuovo team da infortunato: si complica tutto l’inserimento nella squadra e di riflesso nella società che ci gira intorno. Lui ha tutte le carte per diventare un ottimo giocatore e quest’anno si sta mettendo in mostra al Sassuolo, dove gioca con continuità. Il suo pregio migliore è sicuramente la marcatura e il colpo di testa. Chissà, magari ci ritroveremo a giocare qui insieme…».

Sempre in tema di Nazionale, tu sei fresco dall’esperienza alle Olimpiadi, oltretutto da capitano della Nazionale olimpica di calcio: che ci racconti di Pechino? «Prima parlavo di momenti indelebili nella vita di un calciatore: beh, quello sicuramente va nella “top 10”. È stata una esperienza unica che ho avuto la fortuna di vivere, e dico fortuna perché c’è stata una combinazione di anni e di età anagrafica che mi hanno permesso di parteciparvi e mai mi ricapiterà ancora. Inoltre, respirare lo spirito olimpico è straordinario».

Sei qui a Roma da pochi giorni: ti sei riuscito ad orientare, oppure il “tom-tom” è il tuo migliore amico? «Sicuramente in questi giorni io ed il navigatore dell’auto passiamo molto tempo insieme! A Roma ero già stato un paio di volte, in occasioni di partite delle giovanili oppure della Nazionale. E non posso scordare la visita in occasione dell’incontro con Papa Giovanni Paolo II. Per il resto, ancora oggi, tutto mi sembra straordinario e viaggio sulle ali dell’entusiasmo… forse mi serve ancora qualche giorno per capire e rendermi conto di tutto».

A proposito di emozioni, è vero che quando ti hanno chiesto di scegliere il numero di maglia tu hai chiesto il primo disponibile? «Sì, come ti dicevo venire a Roma per me è davvero un sogno. Quando è stato definito l’accordo del mio passaggio a tutto pensavo fuorché al numero. A Udine avevo il 23, scelto per Michael Jordan, che ammiro non come uomo ma come simbolo di grandezza sportiva nel suo settore».

In conclusione, cosa ti senti di promettere ai nostri tifosi? «Una cosa la posso promettere di sicuro, il mio impegno sempre e comunque, in campo ed in allenamento.
Sono dell’idea che il lavoro paga e quindi certamente non mi vedrete mai uscire con la maglia asciutta, questo è sicuro».

da romanews.eu

Júlio César Clement BaptistaBaptista al “Guerin Sportivo”

Il Bello della Bestia. Un fisico possente, una classe cristallina, lineamenti da fotomodello, un curriculum da far brillare gli occhi e un soprannome che proprio non gli va giù. «Me lo diede il presidente del Siviglia» sorride Julio Baptista mentre sfoglia una copia del Guerin Sportivo, «da quel giorno è stato un mio compagno di viaggio. Non mi piace, ma per fortuna dalle mie parti non ha una connotazione negativa come in Italia: qui dà l’idea di qualcosa di brutto. E pensare che in giro ci sono tanti giocatori potenti».

Nomignoli a parte, Roma ti aiuta a superare la saudade? «Non l’ho mai avuta. Forse sono un brasiliano atipico. Questa città è fantastica. La gente è calda, si vive molto bene e la nostalgia resta una parola vuota».

Dopo il gol nel derby, i tifosi ti hanno dedicato una piazza, cambiando “G. Battista Grassi” in “Julio Baptista”. «È bello fare telice tanta gente, ma non mi era mai capitata una cosa simile e penso che solo qui potesse accadere. Queste cose fanno capire quanto sia importante il calcio a Roma».

E pensare che se fosse arrivato Mutu, tu non avresti mai visto Trigoria. «Già, la Roma non mi avrebbe preso. Adrian gioca nel mio ruolo. Diciamo che sono stato una valida alternativa: volevo lasciare il Real e i giallorossi sono arrivati al momento opportuno».

Ora puoi sbilanciarti: era la Roma che ti aspettavi? «Sì, le attese sono state confermate. Una squadra forte, ambiziosa, ricca di campioni. Abbiamo un solo rimpianto: non essere riusciti a garantire una certa regolarità di risultati».

Una truppa abile e ambiziosa, comandata da un tecnico severo ed esigente: che idea ti sei fatto di Spalletti? «Ha tanta voglia di fare bene. È una persona bravissima e un allenatore perfezionista e rigoroso. Non lascia nulla al caso».

Hai condiviso il modo in cui ha gestito il caso-Panucci? «Sì. Ha un carattere forte e penso che tutti dobbiamo rispettarlo. Poi ognuno può pensarla in maniera diversa. Peccato, però: l’esperienza di Christian ci avrebbe fatto comodo, ancor di più in Europa».

Ti ricorda qualche allenatore che hai avuto in passato? «Sì, il tecnico di quando iniziai a giocare al San Paolo. Gli altri, invece, erano diversi tra loro. Ma tutti più tranquilli di Spalletti».

Osiamo un po’: dove può arrivare la Roma? «Sono certo che presto raggiungerà i livelli dell’Inter. Adesso che ha ritrovato un po’ di tranquillità, può volare alta. Per troppo tempo abbiamo dovuto fare i conti con gli infortuni. In questo senso dobbiamo stare più attenti. Se supereremo al meglio questi problemi e riusciremo a giocare da Roma, arriveremo al quarto posto e assaporeremo l’Europa che conta».

Dunque l’obiettivo è il quarto posto? «Sì. Siamo consapevoli di aver fallito due, tre partite e di aver perso per strada dei punti. Meglio restare con in piedi per terra e puntare dritti al piazzamento minimo per la Champions».

I tanti infortuni dei quali parlavi, potrebbero derivare dal fatto che in Italia ci si allena troppo? «Non lo dico… Ma basta fare una comparazione con il calcio inglese e spagnolo per confermarlo: qui si lavora molto di più».

La coppia d’attacco è spesso composta da Totti e Vucinic: ti senti meno titolare di quanto speravi? «La penso in maniera totalmente diversa. Sono un giocatore della Roma e se il tecnico mi chiede di stare in panchina non discuto. Però ci tengo a specificare una cosa: non sono una punta, ma un trequartista».

Ne hai parlato con Spalletti? «Lo sanno tutti, non devo parlarne con nessuno. E non so neppure se il mio ruolo piaccia o meno al tecnico. La cosa certa è che si è creata troppa confusione e la gente pensa che debbano giocare Totti-Vucinic o Totti-Baptista. Non è così. Il mio ruolo è un altro. Possiamo giocare insieme, ma io devo agire da trequartista, tra le linee. Ognuno deve giocare dove si esprime meglio. Chiaro?».

Certo e altrettanto chiaro è il quesito successivo: quale modulo prediligi? «Il 4-3-1-2, il noto “rombo”. Io mi colloco in quell’1 alle spalle dell’attaccante: nella cabina delle invenzioni».

Quale compagno ti ha impressionato di più? «De Rossi. Montella è senz’altro il più brasiliano della squadra: ha un dribbling carioca. Per il futuro punto su Aquilani. Totti? Ha tante qualità ma anche 33 anni e deve fare i conti con gli infortuni. Vive la parte finale della carriera, magari tra tre stagioni dirà addio al calcio. È stato ed è un grandissimo calciatore. Ha una spiccata mentalità, ha lasciato il segno».

Lo metti tra i Dieci più importanti che hai visto? «Andiamo con ordine: Zidane è al primo posto, Ronaldo al secondo… No, non credo di poter mettere Checco sul podio. È un grande ma ha già vissuto il miglior momento. Se avessi giocato con lui qualche anno fa, l’avrei potuto apprezzare meglio e lo avrei inserito nei primi tre posti. Il bronzo spetta a Ronaldinho: al Barcellona era un vero fenomeno. Una citazione a parte la merita Roberto Carlos, il miglior terzino della storia. Non ce n’è un altro come lui».

Chi è il vero leader della Roma? «Sono due: Totti e De Rossi. Sono entrambi romani e i tifosi si identificano in loro».

Domanda secca: gli arbitri favoriscono l’Inter? «A mio modo di vedere la cosa non riguarda solo l’Inter. Ho visto quattro volte la Juventus ed è sempre stata una cosa incredibile. Un giorno vorrò capire come si possa fare così. Il guardalinee era a un passo da un giocatore bianconero in netta posizione di fuorigioco. Il pallone ha raggiunto questo giocatore in fuorigioco e il guardalinee non ha fatto niente. Non ho mai visto nulla di simile nell’arco della mia carriera».

Gli arbitri stanno falsando il campionato? «No, questo no. Sennò è un casino. Il calcio non sarebbe più una cosa bella, ma manipolata. Certo: non ho mai visto certe cose in altri tornei, ma penso che non lo facciano a posta».

Parliamo di errori che possono condizionare un torneo. «Un conto è sbagliare una cosa difficile, un altro è commettere errori troppo semplici. Mi spiego: se tu guardalinee vedi che un giocatore è in fuorigioco, sei in ottima posizione per verificare la cosa, perché non alzi la bandierina?».

Siamo fermi alla parola magica: perché? «Perché a mio modo di pensare c’è una certa protezione per le squadre più grandi».

La Roma è protetta? “No, assolutamente. Non è protetta. A parte il fallo di mano di Mexes contro l’Udinese, non ha certo ricevuto aiuti».

Dunque De Rossi ha fatto bene a sfogarsi dopo la gara con l’Inter, affermando: “Temo che non vincerò mai uno scudetto con la Roma”. Un messaggio chiaro. «Sì, ha fatto bene. È un discorso complicato. Dobbiamo fare ancora tanto cammino e giocare molte gare. Dopo una frase come quella di Daniele, c’è il rischio che tutti, compreso l’arbitro, pur vedendo cosa accade in campo, vengano contro di noi. Per questo non mi piace parlare dei direttori di gara: ormai sappiamo come funziona».

Però il silenzio non sempre premia. «È vero. Ma non dobbiamo essere solo noi giocatori a parlare, deve farlo anche la società. La Roma non si è ancora schierata, ma deve farlo. Perché quando accadono certe cose al Real Madrid o al Barcellona, parlano tutti: squadra e club. Se non si è convinti delle cose che accadono, si deve intervenire con un comunicato. Lo aspetto».

Voltiamo pagina: Amauri e Taddei fanno bene ad abbandonare la Seleçao e puntare alla Nazionale italiana? «Amauri è venuto presto in Europa, non è mai andato in nazionale e nessuno in Brasile lo conosceva. Davanti a lui ci sono Luis Fabiano, Pato, Robinho: non troverebbe comunque spazio. Pure Rodrigo, che in Brasile è più conosciuto di Amauri, farà bene a puntare sull’azzurro».

A proposito di nazionale, quale vedi favorita per il Mondiale? «Germania o Italia sono in grado di mettere paura a tutti. Ma il parterre è ricco: occhio alla Francia e al mio Brasile».

Qual è stato il migliore allenatore che hai avuto? «Wenger. Mi ha valorizzato, anche se per me non fu facile ai tempi dell’Arsenal, dove trovai una squadra vice-campione di Champions. Un gruppo già formato, compatto. Però, lavorando sodo, riuscii a ritagliarmi lo spazio. Da Wenger ho appreso tanto».

La miglior squadra? «Il Siviglia mi ha dato notorietà, ma il top resta il Real Madrid, dove ho avuto la possibilità di giocare con tanti campioni e rubare tanti e preziosi segreti».

Cosa manca alla Roma per diventare un club del calibro di Real o Manchester? «Manca qualcosa sia a livello tecnico che societario. Si dovrebbe fare meglio. Qui c’è una famiglia che ha in mano la società: non è come negli altri club dove ci sono tante persone che formano il nucleo dirigenziale. Da una parte è un bene, perché ci si mettono cuore e passione, dall’altra sarebbe meglio lavorassero più persone esterne, per consentire al club di fare il salto di qualità. Bisognerebbe essere soprattutto più rappresentati e organizzati».

L’uscita dalla Champions con l’Arsenal, quanto rallenta il progetto di crescita? «Il modo in cui siamo stati eliminati mi fa ancora male. Abbiamo fatto una grande gara di ritorno, malgrado i tanti assenti. Non ci ho dormito».

Fuori dal campo cosa ti piace fare? «Amo la normalità. Uscire a cena con la famiglia, qualche serata al cinema, frequentare i compagni brasiliani e suonare la chitarra o alcuni strumenti come il Cavaquinho. Ma la cosa che amo di più è il golf: quando posso vado sul green. Se non fossi diventato un calciatore, avrei puntato sul golf o avrei cercato gloria in campo musicale».

I tuoi cantanti preferiti? «Mi piace la Pausini e vado matto per le tonalità spagnole, brasiliane, inglesi e italiane. Da sempre, ho un debole per il grande Michael Jackson».

Prima di chiudere, facciamo un gioco: consiglia un giocatore alla Roma «A noi serve molto un esterno in grado di coprire entrambe le fasce. Che sia veloce ed abile a destra e a sinistra. Un elemento alla Cristiano Ronaldo. Ma anche Robben sarebbe il top».

Cosa saresti disposto a fare per vincere lo scudetto? «I capelli non posso tagliarli perché li ho già corti. Però potrei cantare “Grazie Roma” sul prato dell’Olimpico subito dopo il fischio finale. E magari mi farei accompagnare da Pizarro. Il Pek quando fa la doccia canta in modo superlativo».

Cosa pensi della polemica di Mourinho? «Non entro nel merito: mi limito a dire che il portoghese mi piace come tecnico. Diplomatico? Può darsi. Ma sincero».