venerdì, Giugno 20, 2025 Anno XXI


da lasignoraingiallorosso.it

Luis MiguelProsegue la girandola di nomi accostati alla Roma per la finestra di mercato di gennaio. E non si parla soltanto di attaccanti. Secondo Sky Sport 24, Luis Miguel, esterno del Valencia, sarebbe finito nel mirino della dirigenza romanista. Già in passato il portoghese era stato accostato ai colori giallorossi. Classe 1980, Miguel, sulla fascia destra, può giocare sia da esterno alto, sia basso. Per poterlo prendere, la Roma dovrebbe prima vendere Cicinho.

M.Ros.

da romanews.eu

Claudio PasqualinClaudio Pasqualin, agente Fifa, a Radio Radio: “Ho parlato con Pradè e mi ha detto che la Roma non ha bisogno di vendere per poter acquistare dei giocatori. La società giallorossa ha una propria autonomia economica”.

da romagiallorossa.com

Stefano Chuka OkakaRadiomercato dice che Stefano Okaka a gennaio potrebbe prendere altri lidi. Diversi da Roma. A far luce sulla questione è l’agente del calciatore di Castiglion del Lago, Domenico Scopelliti: “Devo sentire la società. Nella prossima settimana mi incontrerò con la Roma e, alla luce di questo incontro, decideremo insieme il da farsi. Se la società deciderà di tenerlo – dice il manager di Okaka – , sarà fatto. Dobbiamo sentire in primis la Roma prima di fare qualunque operazione. Mi fa piacere dell’interesse di altre società: se mi chiamano da Bergamo o da Chievo, per esempio, per noi è un onore, perché sono società importanti. Però per il momento la priorità è la Roma. Spetta solamente a loro decidere il futuro di Stefano. Noi ci adegueremo a quello che ci diranno. La prima cosa nel calcio è la correttezza. Se ci sono stati problemi con Okaka? Non ci sono problemi. Ti faccio una battuta: ci sono Totti, Menez, Baptista e Vucinic. Forse egoisticamente è quello il problema. Quando loro stanno bene, la gerarchia è quella”, conclude Scopelliti-

da corriere.it

Raffaele GuarinielloTORINO — Il Palazzaccio è nero e deserto. «Come si lavora bene in questi giorni di festa…». Il Grande Inquisitore è solo e in jeans, scaldato dal riverbero della Quinta di Beethoven dentro un pomeriggio di pioggia ghiacciata e faldoni roventi, il processo Thyssen alle porte («Cominciamo il 15 gennaio: è la prima volta che per morti bianche si va in Corte d’Assise, mai il dolo eventuale era stato applicato alla sicurezza sul lavoro»), la borsa per la palestra pronta in un angolo («Ieri in spogliatoio ho visto due armadi spaventosi. Mi chiedevo: è socialmente accettabile che persone così frequentino il club? Che messaggio passa? Quali disvalori circolano? Quei fisici non sono frutto di allenamento… Vorrei capire…»), il ritratto ad olio dipinto dal figlio Roberto come unico vezzo in un ufficio spartano ma non inospitale, nel cui tepore, tormentandosi l’orecchio sinistro, il procuratore aggiunto della Procura di Torino («Stanno per scadere gli 8 anni di mandato, dopo un intenso travaglio ho detto no al trasferimento a Roma, a gennaio decadrò e tornerò sostituto: un bel bagno d’umiltà»), allievo di Giovanni Conso e compagno d’esordio in magistratura di Gian Carlo Caselli, classe ’41, si racconta.

Operai morti nel rogo della loro fabbrica. Studenti seppelliti dalle macerie della loro scuola. Calciatori uccisi da una malattia incurabile. Dottor Guariniello, che Italia emerge dalle sue inchieste? «Un’Italia malata grave. Ma poiché mi piace cercare sempre il lato positivo, nel buio scorgo anche la luce: ci sono sacche di un’Italia che funziona, giovane e pulsante, penso alle risorse sane del Paese, ai carabinieri, agli ispettori, ai giudici che ci hanno permesso di arrivare al rinvio a giudizio Thyssen in meno di un anno. Questa è l’Italia che sa fare cose straordinarie».

Sport e magistratura cos’hanno in comune? «L’entusiasmo. La convinzione nei propri mezzi, unita a una realistica visione dei fatti. Chi sente di lavorare per un progetto, dà tutto se stesso». Cosa resta del processo Juve? «Un’importante legge sul doping. Una profonda riflessione sul sistema calcio, che spero abbia fatto maturare le coscienze. È vero che è finito con la prescrizione, però ha tirato fuori un problema, l’ha elaborato. Da questo punto di vista, secondo me, è stato prezioso ». Pensa davvero che il processo alla Juve abbia insegnato qualcosa al calcio italiano in materia di tutela della salute dei giocatori? «Il mio, vede, è un mestiere straordinariamente bello, che permette di essere utili. A me piace perseguire i reati, non gli imputati. Non pretendo di risolvere i problemi del mondo, ma perlomeno posso provare ad occuparmene. Mentre l’ascoltavo, per esempio, pensavo a come il rinvio a giudizio Thyssen avrebbe impedito il perpetrarsi di certe situazioni, a come le aziende fossero per forza indotte a riflettere».

Lo sbarco alla Procura di Roma le avrebbe spalancato un mondo. Il Coni, le Federazioni sportive… «…e i ministeri».

È già pentito? «Roma sarebbe stata una verifica interessante, ma poi vari segnali mi hanno indotto a rifiutare. Mi aspettano due grossi processi, Thyssen e Eternit, oltre 2 mila morti di amianto dal ’52 al 2008. Mi sono sentito in dovere di restare qui».

Quanto la politica ha cercato di tirarla per la giacchetta? «Ho ricevuto offerte di candidature da destra e sinistra, un po’ meno dal centro. Ho detto no a tutti perché la politica è mediazione e la bellezza del mio lavoro è che finora sono sempre riuscito a decidere secondo scienza e coscienza, mai pensando ad altri fini».

La Superprocura nazionale sugli infortuni sul lavoro che lei sollecita da tempo potrebbe occuparsi anche di doping, Sla, misteriose morti nel rugby, abuso di farmaci leciti per alterare la prestazione e altre degenerazioni dello sport italiano venute alla luce negli ultimi dieci anni. «Certamente. Le malattie professionali degli atleti rientrerebbero a pieno titolo nel campo d’attività. Ci sono resistenze, ma la Superprocura è una strada obbligata per rimuovere le lentezze della magistratura. Un pool de la santé, i francesi l’hanno già creato. Immagini le azioni antidoping che si potrebbero intraprendere in una visione nazionale del problema. Gli atleti si spostano, sono in movimento, penso al Giro d’Italia e al Tour. Gli eventi si moltiplicano. L’iniziativa non può essere lasciata ai singoli. Al di là di calcio e ciclismo, restano tante discipline da esplorare: l’atletica, il nuoto… In Italia abbiamo un’ottima legge antidoping ma non ancora un’azione sistematica. E purtroppo le autorità sportive non dispongono di strumenti investigativi: all’antidoping si sfugge, alle perquisizioni e ai sequestri no. In questo senso l’Olimpiade di Torino è stata significativa».

Dopo il boom del nandrolone, il campionato non ha più fatto registrare positività. Significa che il calcio è pulito? «Non mi sento di dirlo. Di certo il nandrolone è diventato un doping vecchio. E non è con l’esame di sangue e urine che si può rispondere a questa domanda».

La Sla nel calcio è un rebus drammatico e appassionante. «Davvero tragico e intrigante, sì. L’esame delle concause, il fatto che si possano incrociare. Ora pare che sotto il campo del Como siano stati trovati reperti radioattivi…».

Qual è l’atteggiamento del mondo del calcio, dal suo punto d’osservazione? «L’omertà è un tabù che non si riesce a infrangere. Sono perplesso: possibile che nessuno, né un ex giocatore né un allenatore né un atleta in attività abbia da dire qualcosa di utile per le indagini? Un testimone-chiave farebbe fare un salto di qualità all’inchiesta».

Stefano Borgonovo, il malato più noto, sostiene che tra calcio e Sla non ci sia relazione. «Forse ha ragione nel dire che la Sla non c’entra col doping, ma i dati epidemiologici dimostrano che calcio e Sla hanno molto a che fare. Negarlo è anticulturale, va a detrimento del calcio stesso».

Vialli ce l’ha con certi magistrati che giocano a fare gli scienziati. «Libero di pensarlo. È una frase che si commenta da sola».

Dieci anni fa, agosto ’98, cominciava la sua avventura nello sport. «A proposito: che fine ha fatto Zeman?».

Gaia Piccardi