da ilromanista.it
(AS_ROMA | 28/12/2007) – PATO MOURE
A Porto Alegre fanno 35 gradi, qui il Natale si passa a queste temperature. Con un caldo così il polo d’attrazione del quartiere è una bella villa con giardino posta all’angolo di due vie. Sempre frequentatissime da bambini che corrono a trovare il proprietario per farsi fare un autografo. Il padrone di casa è Carlos Caetano Bledorn Verri, per tutti Dunga, ovvero la traduzione portoghese di Cucciolo, il più piccolo dei sette nani. Lui ora abita qui, e quel nomignolo che si porta da sempre dietro non corrisponde al giocatore che fu, tutto grinta e geometrie, e all’allenatore che è. Perché Carlos a 44 anni è da 18 mesi il ct della Seleçao. Una partenza col botto, la sua, con la vittoria della Coppa America lo scorso luglio, pur senza le stelle Ronaldinho e Kakà, ma con una squadra costruita a sua immagine e somiglianza. Una formazione tutta sostanza che si è retta su due pilastri giallorossi: Doni e Juan.
Quando parla del difensore passato alla Roma la scorsa estate a Dunga si illuminano gli occhi. Mentre con i suoi bermuda si accomoda sulla sedia a dondolo in giardino ci racconta: «Juan è uno che entrerà nella storia del calcio brasiliano. Difensori di questa levatura ne ho visti pochi». Da molti è paragonato ad Aldair, uno che la storia a Roma e in patria l’ha fatta davvero: «Si assomigliano, anche nei comportamenti. Sono tutti e due giocatori di poche parole, ma ora Juan sta imparando a parlare, a farsi sentire». L’altra sorpresa di quella cavalcata vincente è stato Doni, arrivato in Nazionale proprio all’ultimo, eppure capace di togliere il posto da titolare a Julio Cesar. «Quando l’ho convocato alcuni critici hanno storto il naso, ma io conoscevo bene le sue qualità. E’ stato importante per la conquista della Coppa. Ha coraggio, sa prendersi le responsabilità. Con lui e Julio Cesar in porta sono tranquillo».
Doni e Juan i suoi punti fissi, e Cicinho? Per l’ultimo arrivato nella Capitale le porte della Seleçao non si sono ancora riaperte. Colpa dell’infortunio al ginocchio che lo ha tenuto fuori per mesi quando era ancora al Real e per l’esplosione di Daniel Alves e Maicon. Ma questo non significa che sia una bocciatura, sul suo recupero ad altissimi livelli Dunga ci conta: «Quando si subisce un trauma come il suo, è necessario del tempo per riprendersi completamente. A Roma dovete avere fiducia in lui. Quando tornerà il miglior Cicinho ci sarà da divertirsi. Io lo seguirò con attenzione. Ha piedi buonissimi, può ancora migliorare in marcatura e in Italia lo farà». Occhi puntati su di lui così come su tutta la Roma, una squadra che al ct brasiliano piace tanto per come gioca: «Spalletti è il miglior tecnico della nuova generazione, pratica un calcio moderno, divertente che per portare a dei risultati ha bisogno di tanta applicazione».
Dunga è un tipo rigoroso, da calciatore era un vero duro. Se lo ricordano quelli che lo hanno visto giocare in Italia. Era il 1987 quando arrivò al Pisa, un anno solo prima di passare alla Fiorentina dove trascorse quattro stagioni (l’ultima nel nostro paese fu a Pescara nel ’92-93). E fu lì che conobbe un pezzo della Roma di oggi, ovvero il preparatore Paolo Bertelli. Ma la Roma in Brasile non è conosciuta per lui, bensì per Francesco Totti. «E’ un giocatore sopra la media» spiega Dunga. E mentre parla si percepisce tutta la sua ammirazione per il capitano giallorosso, ma chi ricorda il suo modo di giocare non sarà sorpreso dagli altri due giocatori da lui particolarmente apprezzati. «Perrotta è un giocatore fondamentale, intelligente tatticamente, con i suoi inserimenti si integra perfettamente con Totti. Uno che negli schemi ci sta alla perfezione». E poi De Rossi, quello che forse gli assomiglia di più .«E’ il vero mediano moderno. Ha tutto: forza, classe, tiro…». Insomma una Roma che gli piace e che può andare lontano in Italia e in Europa: «E’ una grande squadra, se la può giocare alla pari con il Real Madrid».
A Porto Alegre fanno 35 grandi e ma sotto gli alberi di casa Dunga si sta freschi e così l’intervista (che il 31 verrà trasmessa su Rete Sport) prosegue tra un ricordo e l’altro di una amicizia nata ai tempo del Pisa. Si torna a parlare di brasiliani, quelli che la Seleçao per ora la vedono da lontano: Mancini e Taddei. Rodrigo ha detto no alla possibilità di giocare per la Nazionale italiana in attesa della chiamata di quella del suo paese: «Lo sto seguendo, ha delle buona qualità tecniche ma è soprattutto uno utile alla squadra». E Mancini? «Sta passando un momento difficile, ma capita a tutti. Lui sta soffrendo anche il fatto di aver cambiato drasticamente ruolo. Lui era un terzino destro, ora è un’ala sinistra con la responsabilità di segnare tanti gol».
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