giovedì, Maggio 15, 2025 Anno XXI


da romanews.eu

La conferenza stampa integrale del tecnico Claudio Ranieri, alla vigilia di Roma-Bologna:

Claudio RanieriContestazioni, bombe carta, l’allenamento di ieri interrotto… “Non è stato interrotto l’allenamento di ieri. Qualche bomba l’hanno tirata stanotte, c’è un po’ di esasperazione, evidentemente c’è molto amore per la squadra. La gente si chiede il perchè e il per come ed esplode. Anche se non dovrebbero esserci manifestazioni di questo tenore, perchè nei momenti peggiori si vede l’amico e chi ti sta vicino. Bisogna analizzare le tre partite perse, abbiamo creato tanto, sia contro il Milan che contro l’Udinese. Abbiamo creato tanto e giocato bene. Credo all’altezza della gara con la Fiorentina. Poi non abbiamo fatto gol e non abbiamo vinto. Ai ragazzi l’ho detto: se questo non basta, dobbiamo fare di più. Abbiamo una squadra compatta e concentrata che vuole uscire dalla situazione. Quando una squadra non sta bene in casa soffre ancora di più, ha l’ansia del risultato, sente i tifosi che non capiscono e iniziano a fischiare. Non dovrebbe accadere, i tifosi devono darci una mano. Non stanno vedendo una squadra che non corre. La squadra lotta. Ci sono delle disattenzioni su cui stiamo lavorando. Capisco che subiamo troppi gol e ne stiamo segnando troppo pochi, ma solo con il lavoro se ne viene fuori. Nei momenti difficili la gente ci deve stare vicino”.

Pensava di trovare le difficoltà che sta trovando? “L’ho sempre detto, le difficoltà ci sono, se cambi l’allenatore ci sono. Io sono venuto con la voglia di far bene e non mi smonto facilmente. Sapevo che sarebbe stato difficile e che serve lottare. So che bisogna essere tutti uniti, vedo che lo spogliatoio, è sano, sereno, di gente che cerca di uscirne fuori, sono fiducioso”.

I problemi di Vucinic? “Se avessi quattro attaccanti come avevo l’anno scorso lo farei riposare. Qui no, lo faccio giocare e spero la gente gli sia vicino”.

È stato utile il ritiro? “Inutile dire se utile o no. Abbiamo deciso di farlo noi con la squadra. Utile lo vedremo domani. Noi giudichiamo: se si vince va tutto bene. Se si perde va tutto male. Lo vedremo domani. Quello che conta sono i tre punti. Come sempre”.

Come sta Doni? “Sta bene. Il portiere quanto e più degli altri ha bisogno di giocare. Anche Buffon, il più forte del mondo, lo scorso anno dopo sei mesi di stop ha avuto difficoltà. Insistendo verrà il suo momento d’oro”.

Come sta Menez? Sembrava un giallo il suo infortunio… “Gli si era staccata un’aderenza di una vecchia operazione. Dopo una piccola corsetta in surplace si è fermato. Ora si è ripreso ed eccolo, è pronto. La polemica? È logico che con tante radio e giornali succede. È uno spogliatoio sano, non ci sono problemi. Si esagera tutto, si esaspera tutto. Vogliamo solo fare bene. Questa è la cosa più importante”.

Come sta Cerci? “Può avere chance di giocare o di venire in panchina. È stato fermo 13 giorni, ora da tre giorni si allena. Pizarro uguale, sono tre giorni che si allena con noi. Può giocare o venire in panchina. Devo valutare io chi può giudicare, di chi posso fare a meno e di chi non posso”.

Baptista come sta? Può giocare dall’inizio? “Potrebbe, ma non ha i novanta minuti e non ha il ritmo che vorrei. Se gioco con una punta e Perrotta è per fare un determinato gioco. È una scelta tattica”.

Si aspettava le reazioni di Blanc sulle sue dichiarazioni riguardo a Stankovic? Le ha detto che non deve parlare della Juve… “Infatti non sto parlando, non ho parlato l’anno scorso, non lo faccio ora. Blanc deve stare tranquillo, se volessi ne avrei di cose di cui parlare”.

Dicendo che se avesse quattro punte non farebbe giocare Vucinic non pensa di mancare di rispetto a Baptista e Okaka? “No, Baptista non è una punta, Okaka sì, ma è giovane. Vucinic è superiore”

Non pensa di adattare troppo il modulo all’avversario? “No, non mi metto a ridosso dell’avversario, mi metto avanti, cerco di batterlo”.

Torniamo sul suo “Questa squadra non è mia”… “Allora, io stimo molto Sconcerti e mi ha fatto una domanda di provocazione l’altra volta, per sondare il clima nello spogliatoio. Tutti sanno che io sono entrato in corsa e quindi la squadra non l’ho fatta io. Ma dal momento in cui ne prendo le redini, io divento il punto di riferimento e la prendo come mia, mi appartiene. I miei giocatori diventano i più forti del mondo e penso solo a loro. Inoltre sono tornato alla squadra di cui sono tifoso, quindi credo di aver detto tutto”.

Dopo Udine lei ha detto che manca la serenità… “Sì, perchè quando crei tanto e non segni ti manca serenità secondo me. Non è nemmeno un fatto di fortuna e sfortuna, a me di cose storte ne sono successe, ma non mi sono mai arreso. Io sono uno che si è fatto da solo e non mi sono mai arreso. Ci sono persone che alle prime difficoltà mollano e poi danno la colpa alla sfortuna. Io non sono così. Io non mi arrendo, la colpa non è degli altri e nostra. Io sono positivo e dobbiamo lottare e mettercela tutta, già da domani. Voglio vedere determinazione e freddezza oltre che voglia di fare e mi auguro che la squadra lo faccia. Siamo in un momento difficile, siamo in difficoltà ed è proprio per questo che bisogna starci vicino, niente bombe, niente improperi. Se è vero che siamo una famiglia, quando in famiglia qualcuno sta male, non gli tiri le bombe, gli stai vicino e cerchi di dargli una mano. Ed è questo che chiedo ai tifosi, se amate la Roma e se siete esasperati figurateci quanto lo siamo noi. Noi vogliamo fare meglio e vogliamo fare di più”.

Qual è l’anello debole della Roma? “Ci sono due anelli. Uno che prendiamo gol ed uno che non ne facciamo. I numeri sono chiari. Però la squadra è viva, se Vucinic segnava all’ultimo momento avreste riscritto tutti i pezzi sì o no? Avreste scritto che abbiamo lottato fino all’ultimo sì o no? Questa è la realtà. avremo cambiato tutto, no?. La verità è che ci sono molte difficoltà, ma io non vedo uno spogliatoio allo sbando. Li vedo decisi e determinati. Non parlo di tranquillità perchè sono romano e so che fine ha fatto tranquillo qui”.

Lei è stato inserito in una squadra già costruita… “Ho 58 anni e sono 58 anni che è mia la Roma. Le cose non si creano oggi o domani, io sto facendo e lavorando. Sono qui per costruire e fare bene. Questa anche è la mia Roma e non la rinnego perchè sto perdendo. Io sono responsabile di questa barca. Io sono l’ammiraglio e mi prendo tutto. Stiamo navigando bene, ma facciamo poche miglia. Arriverà il momento”.

Che squadra si aspetta domani? “Mi aspetto una squadra che giocherà nella propria metà campo, li ho visti e li conosco, inizialmente giocano a viso aperto, ma poi si chiudono ai primi affondi avversari. Ho visto un po’ di nervosismo contro il Siena. Hanno anche creato qualcosina però senza passare la metà campo praticamente. Mi aspetto una squadra rapida a ripiegarsi e che aspetterà che i nostri tifosi ci fischino, cercando di trovarci distratti. Questo non deve accadere. Me lo aspetto dai miei ragazzi, li voglio vedere freddi e glaciali oltre che mettercela tutta. E’ una squadra che ha delle individualità”.

Come sta Burdisso? “Non vogliamo dire nulla, ha un problema piccolo al polpaccio, lui vorrebbe spingere, ma noi no. Perchè il polpaccio è un muscolo strano”.

Lei con che spirito andrebbe allo stadio da tifoso? “Sicuramente incazzato, perchè voglio di più, ma consapevole che la squadra sta facendo molto e sta sbagliando anche molto. Però noi produciamo di più e tanto. Certo è fastidioso vedere che gli altri magari producono molto meno di noi ma al primo affondo segnano. Allora o ci sentiamo parte di una famiglia. Non voglio tornare ad esempi inglesi, ma una volta andai a giocare l’ultima giornata contro una squadra già retrocessa e mi ricordo che tutti i loro tifosi erano in piedi a battere le mani per l’impegno che comunque ci avevano messo. Loro piangevano, ma applaudivano. A me ancora vengono i brividi.
Non dico che ci devono applaudire, ma che ci diano una mano a stare meglio, ci incoraggiassero, io da tifoso anche incazzato farei così”.

Per capire chi è Giorgio Rossi, riportiamo un articolo apparso sul Corriere dello Sport qualche mese fa

Giorgio RossiGiorgio Rossi ha cominciato la cinquantatreesima stagione alla Roma. Ad ottobre compirà ottant’anni e non li dimostra. Il pensiero di andare in pensione non lo assale. La memoria è nitida, il massaggiatore più esperto del calcio italiano è un pozzo di aneddoti. Ci vorrebbe un libro per raccontarli.

«Ho cominciato nel ’57, alla Primavera l’allenatore era Guido Masetti».

Mezzo secolo di muscoli e medicine, ha regalato la sua vita alla Roma, con orgoglio e senza pentimenti. «Tornare qui dopo 35 anni è stata un’emozione incredibile. Rivedere queste montagne mi ha fatto andare indietro nel tempo. Molte persone non ci sono più, gli anni passano, molte cose sono cambiate. Qui venni la prima volta nel 1974 con Liedholm, il campo era in terra battuta al centro di Riscone, vicino c’era un torrente che era la disperazione dei magazzinieri Vagni e Timperi, che dovevano rincorrere i palloni che finivano dentro l’acqua. Se ne perdevano tre o quattro al giorno».

E’ cambiato tutto, anche il calcio. «Questo è un’altra cosa. Oggi è più fisico. Anche nel mio ambito siamo distanti anni luce, i presidi di pronto soccorso un tempo erano la borsa del ghiaccio e dell’acqua calda. Oggi si usano il laser e i computer, l’ipertermia e la ionoforesi. Quello che è rimasto uguale è il soccorso in campo». Ne sa qualcosa Rossi, che nel campionato 1989-90 salvò la vita a Lionello Manfredonia, in una fredda domenica di Bologna.

«Fui fortunato ad avere nella mia borsa le forbici di Hemark. Riuscii ad aprire la bocca di Lionello, che aveva i denti serrati. Senza quello strumento non ce l’avrei fatta. Poi la respirazione bocca a bocca e il massaggio cardiaco con il dottor Alicicco, è stato questione di attimi. Accaddero episodi simili anche con Nela, che in un Roma-Napoli prese una gomitata in fronte dal compagno di squadra Bonetti. Era svenuto anche Sebino e ci volle la respirazione bocca a bocca. Un’altra volta fu Rizzitelli ad aver bisogno di un pronto soccorso particolare. Massaggio cardiaco e rianimazione. Questi giocatori li sento ancora. Man­fredonia mi chiama per gli auguri. A Cagliari quando morì il povero Taccola non c’ero, ero ancora alla Primavera. Ricordo che ebbe uno shock anafilattico da antibiotici. Fu una storia triste».

Ma sono tanti i ricordi felici che Giorgio Rossi racconta con piacere. «Sono rimasto legato un po’ a tutti, in più di cinquant’anni nessuno mi ha deluso. In tanti mi chiamano ancora. Aldair, Giannini, Desideri, tutti quelli che ho visto crescere, passando con loro dal la Primavera alla prima squadra. Bruno Conti, il povero Agostino Di Bartolomei, Francesco Rocca. Anche Tempestilli mi è sempre stato vicino. Ai giocatori di oggi sono altrettanto affezionato. Da Totti a De Rossi a tutti gli altri. Ricordo con simpatia anche Cassano. Per svegliarlo la mattina era dura, ma mi rispettava e con me si comportava bene. E’ un ragazzo molto intelligente».

Si ritrovò alla Roma per caso, nel ’57. «Facevo il Vigile del Fuoco, ero infermiere e seguivo la Primavera nel tempo libero. Un giorno mi chiamò il presidente Evangelisti e mi chiese se potevo andare in ritiro con i ragazzi. A quei tempi la preparazione si faceva a Campobasso. Minaccioni si era infortunato e insieme a Ceretti andai a sostituirlo, c’era Pugliese allenatore. Si accorsero di me quando tentammo un soccorso per una fuga di gas, ma l’uomo che caricammo sull’ambulanza era già morto. In quella occasione Minaccioni mi chiese se potevo andare con la Primavera a Sanremo per il torneo Carlin’s Boys. Masetti mi portò al campo Roma, a via San nio. Oltre alla cassetta del pronto soccorso me ne diedero un’altra con dentro tenaglie, tiralacci e altri utensili per gli scarpini. Mi sembrava di andare a fare il calzolaio. Con la squadra viaggiava solo il massaggiatore, era compito suo occuparsi anche degli scarpini. Andò bene e vincemmo quel torneo che per importanza era secondo solo al Viareggio».

Tra gli allenatori ha avuto un feeling parti colare con Liedholm. «Con il Barone ho trascorso tanti anni. Ricordo che non voleva la moglie in ritiro perchè il mago di Busto Arsizio gli disse che gli portava sfortuna. Ma sono sempre andato d’accordo con tutti i tecnici. Devo ringraziare tutti i presidenti con i quali ho lavorato. Da Sacerdoti che mi fece il primo contratto a Sensi, che aveva grande rispetto per me. Mi trovo bene anche con la figlia. Viola parlava poco e metteva soggezione. Era molto presente. Una volta si fece dare un centimetro e si mise a misurare tutti gli alberi, minacciando quelli del vivaio che se non fossero cresciuti non li avrebbe pagati».

Giorgio Rossi ha vissuto da vicino due tristi storie che fecero scalpore negli anni Novanta alla Roma. «Delle compresse di Lipopill il dottor Alicicco e io non sapevamo niente. Le por tò un giocatore di cui non vorrei fare il nome e non era Peruzzi. Erano pasticche che prendeva Maradona per togliere l’appetito e non mangiare. Poi c’era una sostanza che aiutava a sentirsi meglio. Quando beccarono Caniggia all’antidoping fu un altro momento difficile. Caniggia era un po’ strano, anche a Trigoria stava sempre chiuso in camera. Ricordo che lui sapeva che aveva preso qualcosa, ma a noi non disse niente. Ma chiese a Muzzi se poteva andare a fare il controllo antidoping al suo posto».

I tre scudetti della Roma se li ricorda bene.
«Quando arrivò il primo, nel ’42, ero un ragazzino e qualche volta andavo allo stadio. Nell’82 a Genova fu una festa bellissima. Falcao mi regalò la sua maglia. Dopo due giorni me la richiese dicendo che doveva darla alla madre. L’ultimo fu una cavalcata eccezionale. Avevamo uno squadrone. Capello era molto esigente nella disciplina e negli orari. Il giorno della partita-scudetto, contro il Parma all’Olimpico, si arrabbiò moltissimo con i tifosi. Con il loro ingresso in campo rischiarono di far sospendere la partita. Diedi tante di quel le borsate per mandarli via… Si portavano via tutto, anche la borsa dei medicinali». Un altro straordinario artefice di quello scudetto fu Batistuta, che a Roma ha lasciato un ricordo sbiadito:
«Era molto schivo e riservato, anche un po’ taccagno, con le ragnatele nelle tasche, come si dice a Roma. Appena arrivato Balbo, un altro che ricordo con affetto, gli disse: “Dai 50.000 lire a Giorgio che ti compra le lamette”. Lo ha fatto il primo mese poi si è dimenticato».

E’ straordinario come un uomo di ottant’anni riesca a saltare con la memoria dal passato al presente. «Un allenatore che si è sempre comportato in modo eccezionale con me è Spalletti e lo voglio ringraziare. Sul lavoro è molto scrupoloso, ma saluta sempre con un sorriso e un abbraccio. Il mio legame con la Roma dura da tanti anni e sul contratto si è generato un equivoco. Io sono legato da un contratto annuale, la mia conferma è automatica, ma dipende sempre dalla società e loro con me si comportano bene».

Prima di chiudere sogna un altro scudetto:
«Ci speravo due campionati fa, ma non ce lo hanno fatto vincere. Un paio di episodi ci hanno penalizzato. Spero ancora, le vie del Signore sono infinite».

Non ha dubbi quando deve scegliere il giocatore più forte in 50 anni di Roma: «Totti è un artista. Ma anche Pruzzo aveva giocate eccezionali. Con il bomber facemmo un contratto. Mi avrebbe regalato 50.000 lire ad ogni gol. Quell’anno che ne fece tanti era rimasto indietro di cinque, mi doveva 250.000 lire. Poi ne fece cinque tutti insieme e mi fece un assegno di un milione. Alla faccia di chi diceva che era tirchio e tirato».

Chissà se farà in tempo a ritrovare un altro suo pupillo: «Ancelotti un giorno tornerà da noi, allenare la Roma è uno dei suoi sogni. In un Roma-Milan mi prese sottobraccio e vole va portarmi in panchina con lui, ma Spalletti mi richiamò dicendomi che stavo sbagliando strada. Poi Ancelotti ci ha fatto il favore di battere il Liverpool, una piccola vendetta. Che batosta fu quella sconfitta ai rigori. Pruzzo ebbe i calcoli renali, altrimenti con lui un rigore era sicuro. Falcao non lo volle battere, Di Bartolomei gliene disse quattro. Ma soprattutto i tifosi gliene hanno dette poche, di parolacce…».

da romanews.eu

Trigoria Centro Sportivo Fulvio BernardiniNon si placa l’onda di contestazione attorno alla Roma. Intorno a mezzanotte una bomba carta è stata lanciata e fatta esplodere all’interno del muro di cinta del centro tecnico ‘Fulvio Bernardini’. La forte esplosione ha svegliato e spaventato i giocatori, in ritiro da mercoledì notte a Trigoria. Immediatamente sono state avvertite le forze dell’ordine. Una volante della polizia è arrivata sul posto dove è rimasta fino alle prime luci dell’alba.

da iltempo.ilsole24ore.com

Addio. Il centrocampista lascia il calcio professionistico, ma giocherà in veneto nei Falchi di Sant’Anna d’Alfaedo insieme con i fratelli

Damiano TommasiQuello che ha deciso di mettere Damiano Tommasi alla sua carriera da professionista. A capo. Perché da domani il centrocampista tornerà a calpestare i campi di seconda categoria veneta nei Falchi di Sant’Anna d’Alfaedo, squadra in cui militano anche due suoi fratelli. Un salto indietro che non lo spaventa affatto e che, al contrario potrebbe dargli nuovi stimoli. «Sarà come tornare a qualche anno fa, quando il corridoio di casa era il nostro Stadio Olimpico – spiega Tommasi – e i mondiali li giocavamo 3 contro 2 nel prato sotto la nostra abitazione». Continua a stupire «l’anima candida», come lo chiamavano affettuosamente i tifosi della Roma. Lui che è arrivato a ridursi lo stipendio al minimo salariale pur di continuare a giocare con i giallorossi dopo l’infortunio al ginocchio. «Tornerò a calciare un pallone?» – si chiedeva allora. Di strada ne ha fatta molta. Dagli esordi con il Verona alla Roma, la maglia dell’Italia, poi la parentesi inglese quella spagnola fino ad arrivare in Cina. E proprio oggi giocherà la sua ultima partita con la squadra del TianJin. Anche in Oriente ha lasciato il sigillo: un gol in campionato, un altro in Champions League. Tempo di saluti. «Non so ancora se e come potrò continuare a stare sul palco del teatro Calcio – continua – dovrò trovarmi un posto dietro le quinte per dare una mano affinché lo spettacolo continui, migliori e diverta. Ma forse mi dovrò accomodare in platea e godermi la passione che mi ha fatto girare il mondo e che ora mi farà tornare a quello che è stato il mio grembo calcistico».

N.D.P.